#1 Da ieri a oggi: Tomb Raider
Ventidue anni. È questa l’età di Tomb Raider, uno dei primi titoli a cui è attribuibile il dominio di mercato, impostosi alla fine degli anni 90 e in larga parte del 2000, da parte della console PlayStation. Una saga di oltre due decenni che ha avuto il merito di legare più generazioni in un connubio di mistero, avventura ed enigmi, riuscendo a superare pesanti momenti di empasse che ne hanno messo a serio pericolo la continuità.
Lara Croft ha dovuto scalare muri ed evitare trappole non solo in virtuale, ma anche nella realtà dell’industria videoludica; e senza riuscire ad evitare, alla fine, il passaggio definitivo dei diritti del franchise.
Ma vediamo come si sono sviluppati nel tempo gli elementi chiave del gioco e in quale misura è cambiata l’iconica protagonista.
Nel corso degli anni si è passati da una giovane e avventuriera archeologa che ama viaggiare e scoprire il mondo ad una ragazza violenta e con l’azione nel sangue. La grazia che contraddistingueva la prima Lara muta in un fuoco innato che spinge la protagonista a fronteggiare qualsiasi difficoltà con aggressività e tenacia. Si passa dalla violenza come extrema ratio alla violenza come modo più efficace per risolvere situazioni controverse. Non certamente il messaggio migliore da far passare. Non da Tomb Raider. Non da quel gioco che ha conquistato tutti per fascino e intelligenza.
Parallelamente all’indole, poi, cambia anche l’aspetto fisico, in misura considerevole. Nel 2007 Lara Croft si è persino trasformata da castana a bionda. Ma è nel 2013 che il personaggio è stato completamente rivisto: seno più piccolo, fisico più minuto e capelli più corti. Un cambiamento evidentissimo frutto di una scelta sicuramente molto coraggiosa, posto che stiamo parlando di un’autentica icona capace di travalicare i confini dei videogiochi e affermarsi nella cultura contemporanea in generale (basti pensare che a Lara Croft è stata addirittura intitolata una strada). Certo, il gioco aveva indubbiamente bisogno di una bella rinfrescata; la misura dell’intervento, però, è parsa a molti esagerata. L’aver voluto ridimensionare in maniera significativa la femminilità del personaggio non è stata un scelta accolta con favore da tutti, sebbene in questa decisione sia stata riconosciuta l’influenza del movimento femminista che negli anni si è fatto largo altresì nell’industria videoludica; anche se, a dirla tutta, risulta difficile inquadrare in tal senso la scelta di eliminare alcuni simboli distintivi del personaggio, come, ad esempio, le doppie pistole e lo zainetto.
Con riferimento, poi, alla filosofia di gioco, si è passati da un gioco “d’elite”, che richiedeva come requisiti uno spiccato ingegno e una notevole capacità di problem solving e resistenza, a un gioco d’avventura “per tutti”, che si snocciola velocemente nonostante gli aspri sentieri e le rocce scoscese che compongono le ambientazioni. Nelle prime versioni i rompicapi erano il vero fulcro del gioco, mentre l’azione e l’uso delle armi, molto frequenti nelle edizioni più recenti, erano un piacevole quanto raro intermezzo tra un enigma e l’altro. È vero, Rise of Tomb Raider ha cercato di rispolverare gli antichi fregi del titolo, disseminando il gioco di misteri e segreti nascosti, ma non è riuscito ad entusiasmare come nelle prime quattro edizioni. Un tempo, completare Tomb Raider era un’impresa non da tutti. Voleva dire astuzia, perseveranza, sacrificio. Potevano volerci settimane per trovare la chiave giusta o trovare il meccanismo di apertura di una porta. Era necessario un occhio attento e molta pazienza. Il che, ovviamente, rendeva il gioco quasi elitario.
È facile intuire, allora, come questa filosofia cozzasse con le spietate logiche del business. Ed è altrettanto agevole comprendere le motivazioni che hanno portato gli sviluppatori a snaturare completamente il gioco, ora orfano di quel vecchio e originale fascino che lo rendeva un unicum; che lo rendeva, semplicemente, Tomb Raider.