Da Avowed ad Assassin’s Creed – Valutare correttamente un videogioco

Negli anni, i giudizi sulla qualità dei videogiochi sembrerebbero essere diventati sempre più severi, spesso anche fuorvianti.
Critiche sentenziose al comparto tecnico, accuse di woke a diverse scelte artistiche e autoriali, critiche discutibili al gameplay loop, paragoni insensati, accuse a stampa e content creator di non essere onesti nelle valutazioni, e soprattutto giudizi nati per sentito dire o tramite voci che circolano sui social network.
L’ultimo dei casi sopraelencati è, probabilmente, ciò che più impedisce di rendersi conto di come alcune critiche, senza la giusta contestualizzazione, potrebbero essere rivolte anche ai videogiochi più apprezzati.
Cosa si intende per “gameplay ripetitivo”? Quando un videogioco è oggettivamente definibile come noioso? Quando le meccaniche di gioco possono effettivamente considerarsi invecchiate? Il seguente articolo intende analizzare diverse situazioni e proporre una riflessione a riguardo.
Avowed e il gameplay loop
Troppe volte si sente criticare un gameplay ritenendolo ripetitivo; di recente è toccato al gameplay di Avowed, la nuova opera di Obsidian Entertainment, ambientata nell’universo di Pillars of Eternity e ispirata ai videogiochi della serie The Elder Scrolls.
Perché Avowed meriterebbe tale critica e non, per esempio, Elden Ring? In fondo, nei “Souls” non si fa altro che combattere per tutto lo svolgimento del gioco, e non sempre basta l’idea di superare la prossima sfida ardua per ritenerli videogiochi oggettivamente appaganti.
Qualcuno ha effettivamente mosso tale critica verso le opere di FromSoftware, facendo notare che un conto è combattere per circa quindici o venti ore, come potrebbe accadere in Bloodborne, ma farlo per circa trenta ore come in Dark Souls o Dark Souls III, o ancor più come in Dark Souls II, o addirittura per oltre cento ore come accade, appunto, in Elden Ring (a meno di voler ignorare gran parte del suo open world) può risultare pesante, considerando che ognuno di questi titoli (fatta eccezione per Bloodborne) ha un momento in cui la narrazione risulta debole nel motivare le sfide successive.
Il combattere sfide sempre più impegnative si potrebbe considerare come il core gameplay loop dei “Souls”, ovvero il ciclo principale del gioco. Ovviamente non basta a rendere il gameplay appagante; è necessario che il giocatore venga motivato, soprattutto se la sfida in questione non sempre è ben bilanciata e non propone sempre nuovi tipi di nemici (altra critica banalmente mossa ad Avowed).
Prendendo ad esempio Elden Ring, ciò che motiva il giocatore a passare così tanto tempo nell’Interregno è sicuramente la lore, e l’altissimo numero di armi e magie diverse ottenibili. Esplorare un mondo ricco di storie nascoste da raccontare, e di oggetti, armi e incantesimi, da voler provare per combattere in tanti modi diversi, spinge il giocatore anche ad affrontare quei luoghi secondari ripetitivi (come le miniere o le catacombe) pur di scoprire qualcosa di nuovo, ottenere i materiali per potenziare tale equipaggiamento, e anche scoprire storie di questi luoghi e dei tesori che custodiscono.

Le ricompense in Avowed, per fare un esempio a riguardo, fanno un po’ storcere il naso. L’ultima fatica di Obsidian presenta un inventario ampio ma non troppo, per essere un GDR, e in un videogioco open map che si estende tanto in orizzontale quanto in verticale, fa sì che gli oggetti rari siano veramente rari.
Tutto torna utile in Avowed; i materiali da creazione e gli oggetti consumabili non pesano, questi ultimi possono anche essere consumati sul posto anziché conservati (ad esempio, per ripristinare immediatamente salute e spirito, curare le alterazioni di stato, o avere un potenziamento temporaneo), il denaro raccolto torna utile per acquistare direttamente armamenti più potenti (che in genere costano) o oggetti costosi, perfino armi e armature inutili possono essere riciclate immediatamente dall’inventario (o vendute a buon prezzo, se di qualità) in modo da ottenere ulteriori materiali, ma è innegabile la sensazione di venir premiati quasi sempre con le stesse cose.
Al contrario, la motivazione data dalla componente narrativa di Avowed non va sottovalutata, è anzi da considerare facente parte del core gameplay loop. Cosa si fa di base in Avowed? Si esplora e si combatte, certamente, ma si parla anche.
I dialoghi con i personaggi non giocanti sono parte integrante del gameplay; non si limitano ad accettare missioni e arricchire la narrazione, ma forniscono anche e soprattutto conseguenze immediate e future.
In Avowed si combatte, ma si può anche risolvere una disputa in maniera pacifica, dando le risposte giuste in un dialogo a scelta multipla. A volte le conseguenze sono poco prevedibili, altre volte appaiono scontate, in ogni caso il giocatore interagisce in maniera pesante con l’intreccio narrativo. Non è solo una questione di come affrontare e sconfiggere un nemico, ma anche se affrontarlo, se richiedere e ottenere un premio o accontentarsi dei punti esperienza, e in che modo portare a termine una quest (tenere per sé il premio, provare a cambiare gli accordi, ecc.)
La narrazione e il peso specifico
Se il gameplay non dovesse condizionare la componente narrativa, questa non andrebbe comunque considerata a parte nella valutazione di un videogioco.
Se, per esempio, The Witcher 3 non fosse praticamente un “romanzo su disco” dal punto di vista narrativo, anch’esso con risposte a scelta multipla che influiscono sull’intreccio persino in maniera più pesante, seppur diluite nel corso della lunga avventura, non avrebbe ricevuto la stessa considerazione avuta nell’ultimo decennio, tenendo conto del suo sistema di combattimento davvero elementare e dal feedback non particolarmente soddisfacente.
Lo stesso vale per altri videogiochi dal gameplay semplice, seppur più appagante, come ad esempio The Last of Us, ma anche per titoli particolari come Death Stranding.
Se l’ultima fatica di Kojima Productions, che a breve riceverà il suo sequel su PS5, fosse stato davvero un “Bartolini simulator”, come spesso viene etichettato, con il protagonista Sam “Porter” Bridges a fare il corriere nel mondo reale anziché nel suo mondo post apocalittico, probabilmente avrebbe funzionato lo stesso (seppur con qualche inevitabile ritocco al gameplay), difficilmente però sarebbe stato altrettanto accattivante.

Come insegna la Digital Bros Academy, se il core gameplay loop non è soddisfacente, si rischia di compromettere l’intera esperienza, e tra le fasi che rendono gratificante il loop viene elencata la motivazione.
Una buona narrazione può motivare il giocatore. Un esempio a riguardo possono essere le missioni secondarie, in quanto vengono spesso ritenute interessanti se sono avvincenti, ben narrate. Se invece appaiono come riempitive vengono spesso considerate fetch quest (missioni inutili).
Pur restando oggettivi, ai fini della critica, non si dovrebbero trattare separatamente gli elementi di un videogioco, poiché ognuno di essi ha un peso specifico nell’insieme. Vale anche in caso di elementi negativi (difficoltà frustrante, ripetitività pesante, comparto tecnico deficitario che infastidisce, ecc.)
Assassin’s Creed e le meccaniche vecchie
“Tra gli appassionati di videogiochi, si sa, si tende sempre a trovare l’innovazione dentro ai nuovi titoli in uscita. Quella scintilla capace di farci innamorare di un nuovo titolo o di farci riscoprire una vecchia gloria sotto una diversa luce. Allo stesso modo tuttavia rimaniamo piacevolmente colpiti quando un titolo si presenta perfettamente per quello che ci si aspettava.“
Questa è la sinossi scritta da Mattia Lugli nel suo articolo su Atelier Yumia: The Alchemist of Memories & the Envisioned Land, la quale è perfetta anche per il seguente discorso sulle meccaniche di gioco.
Quand’è che le meccaniche di gioco possono definirsi invecchiate? Banalmente, quando non risultano più essere efficaci per il videogioco in questione. In caso contrario, tale critica sarebbe più una polemica sterile.
I “Souls” tornano nuovamente utili come esempio: Elden Ring, come il suo imminente spin-off Elden Ring: Nightreign, utilizza un motore di gioco che è lo stesso da ormai dieci anni per tutti i videogiochi FromSoftware, eppure non ci sono mai state grosse critiche riguardanti un qualche senso di arretratezza.
Inoltre, i videogiochi di FromSoftware presentano spesso asset riciclati e le stesse animazioni, ma complice la continua rifinitura nel corso degli anni, e una direzione artistica sempre eccezionale, tale fatto sfiora appena la mente dei giocatori.

Al contrario, prendendo ad esempio titoli come WWE 2K25, il peso decennale delle stesse animazioni si sente in tal caso, essendo queste messe in risalto dal tipo di videogioco. Un prodotto che vuole essere un simulatore di Wrestling può considerarsi tale se risulta attempato?
In altri casi, le meccaniche di gioco risultano ancora valide pur con l’impressione che si potesse (e dovesse) fare di più. L’esempio di Avowed torna nuovamente utile, con l’opera di Obsidian che presenta un sistema di combattimento ancora valido, perfezionato rispetto ai classici del genere, ma con un feedback dei colpi e una gestione dei nemici oggettivamente da rivedere.
Si tratta perlopiù di fare una scelta, non di cercare la perfezione. Non è tanto volere una IA più realistica in Assassin’s Creed, perché lo scopo dell’intelligenza dei nemici nei videogiochi, come spiegava Luca Bavutti tempo fa, è più quello di offrire una sfida soddisfacente al giocatore che un senso di realismo, ma in un videogioco basato sullo stealth non può essere deficitaria.
Non è una buona idea cercare di tornare al vecchio stile con Assassin’s Creed: Mirage se anche l’IA dei nemici risulta ancora primordiale. Il nuovo arrivato Assassin’s Creed: Shadows ha fatto invece un buon lavoro a riguardo, nonostante qualche difetto e scelte di bilanciamento.

Anche il calibro della difficoltà è più una questione di scelte che di ricerca del realismo. In Assassin’s Creed: Shadows, con un combattimento corpo a corpo adrenalinico e fortemente basato sullo scoprire il fianco del nemico, il giocatore non trova il tempo di pensare che l’altro nemico presente potrebbe essere più aggressivo, almeno selezionando la difficoltà “Normale” in un videogioco pensato per le masse.
Tra l’altro si tratta di un’opera in cui si impersona un assassino in grado di fronteggiare da solo tanti nemici, come se fosse un supereroe. Anche nei film di Batman i nemici potrebbero provare a sparare di più e combattere meno all’arma bianca, ma quasi nessuno spettatore si pone mai il problema.