Daymare: 1994 Sandcastle | Una recensione complessa

Quattro anni fa mettevamo le mani sul primissimo titolo della trilogia, Daymare: 1998 e ricordo ancora, invece, quell’intervista ai ragazzi di Invader Studios di, ormai, sei anni fa.
In quel periodo il mio interesse virava su tutta la produzione italiana (ottima) di quegli anni, ma non nascondo che la curiosità, per Daymare, era alle stelle. I richiami a Resident Evil e Dead Space, o alla provincia romana in cui abito, ma soprattutto ciò che iniziava a trapelare del loro lavoro, gridava ad una produzione che forse rappresentava un unicum nel nostro paese.
Daymare: 1998 l’ho amato e divorato, ma posso dire la stessa cosa per Daymare: 1994 Sandcastle? La risposta è complessa; necessita di un’analisi accurata.
Daymare: 1994 Sandcastle – La narrazione ed il level design
Quella di Daymare è una trilogia che pone il suo punto di partenza dal capitolo centrale, nel 1998, quindi non seguendo un ordine cronologico canonico. La scelta di procedere poi con 1994 è sicuramente una scelta originale e vincente in vista del capitolo conclusivo, in cerca probabilmente di un colpo di scena forte e completo. Una scelta che mi è piaciuta, anche se la bramosia di scoprire cosa accade ai personaggi di 1998 mi divora e divorerà ancora per altri anni.
La trama finora incontrata nei due capitoli è uno dei punti di forza di questo videogioco: lineare per certi versi, ma mai scontata e piena zeppa di cose da scoprire. La regia ci porta sempre verso la suspance, la voglia di andare avanti quei famosi “cinque minuti” che poi diventano ore, con un level design che, in 1998, mi ha fatto letteralmente impazzire, in senso buono, per la sua varietà, la sua capacità comunicativa e la possibilità di interazione con l’ambiente.
In Daymare: 1994 Sandcastle si mantiene questa linea, anzi, per certi versi alcune cutscene, accompagnate come sempre da una soundtrack degna di nota, mi hanno coinvolto emotivamente ancor di più rispetto al suo predecessore (o forse sto solo invecchiando!). Lo stesso purtroppo non può dirsi sul level design e sull’interazione con esso.
Dalila, la nuova ed unica protagonista, si ritroverà all’interno dell’Area 51, esplorando laboratori, cantieri, alloggi inaspettati, cercando di scoprire documenti in grado di fornirci elementi utili alla narrazione. In Daymare 1998 la varietà di ambienti, documenti, rompicapo, era maggiore, ma l’assist era fornito da ben tre personaggi giocabili, quindi, da questo punto di vista, era impossibile fare meglio. L’Area 51, per quanto si possa andare avanti con l’immaginazione, non avrebbe potuto essere un palco maggiore di quello utilizzato in 1998.
Comprendendo e condividendo questo aspetto, non ho ben digerito il passo indietro fatto sull’interazione con il level design.
1 – L’interazione ambientale ed il Frost Grip
Non amo le etichette, la polarizzazione, la gabbia che si fa intorno alle cose, alle persone, alle opere d’arte, ma quando è evidente che il tentativo è quello di rispettarne una, di etichetta, allora non si può far altro che analizzare l’opera da quel punto di vista. Daymare: 1994 Sandcastle è un survival horror.
Se la narrazione, la soundtrack, il personaggio, di cui ho detto pochissimo se non il nome, sono riuscitissimi e se le ambientazioni sono ben fatte, lo stesso non si può dire dell’interazione con il level design, del sistema di combattimento e delle creature incontrate e per concludere dell’inventario. Questi tre punti possono sembrare di poco conto, ma cambiano la percezione di quel survival, di quella capacità di divertire e sentire allo stesso tempo il fiato sul collo. Ma andiamo per gradi.
Parto da un punto che mi sta molto a cuore: l’interazione con il level design su accennata. In Daymare: 1998 c’erano barili, non i classici luccicanti, cui poter sparare per eliminare una minaccia o tubi di azoto da rompere per congelarne una. In Sandcastle non ho riscontrato questa possibilità di interazione. Se in 1998 gli occhi erano sempre chiamati all’attenzione, in 1994 la progressione nel mondo di gioco è più lineare, quasi un walkthrough verso la meta.
Probabilmente è stata una scelta stilistica, considerando che Keen Sight aveva sicuramente più spazi e possibilità rispetto ai tunnel sotterranei dell’Area 51, però i laboratori, ad esempio, si prestavano moltissimo in questo senso.

Sandcastle era il titolo perfetto per l’interazione ambientale, perché le creature che incontreremo, senza dirvi il perché, mal digeriscono il freddo. Perché quindi non premere l’acceleratore su un level design più interattivo e funzionale al combattimento? Forse la motivazione risiede in una delle feature del nuovo capitolo: il Frost Grip, una sorta di arma spara-azoto.
La sua introduzione costringe il giocatore ad un sistema di combattimento originale, seppur discutibile, secondo cui bisogna congelare le creature, completamente o parzialmente in base ai casi, prima di crivellarle di colpi. Non arriverete dunque con il fucile a pompa spianato, ma ogni combattimento andrà studiato accuratamente, perché, oltre ai colpi limitati, pur relativamente generosi per essere un survival, alcune creature, se non congelate completamente, saranno immortali.
Non finisce qui. L’uccisione dei Decoy, ad esempio, la creatura base che incontrerete più spesso, rilascerà una sfera energetica che genererà un nuovo Decoy impossessandosi di un cadavere vicino.
La vostra unica possibilità sarà quella di congelare quella sfera prima che faccia il suo dovere, altrimenti un nuovo combattimento inizierà in brevissimo tempo, non lasciandovi mai respirare. Insomma, o sarete veloci e fortunati, oppure dovrete uccidere di nuovo i poveri cadaveri umani già morti da un pezzo.
2 – Sistema di combattimento e le creature
Credo che quello che poteva essere un divertente ed importante sistema di combattimento si sia rivelato uno dei punti più criticabili e discutibili: il sistema di combattimento ed il già citato Frost Grip.
Pur avendo la possibilità di potenziarlo, è lento nel congelare, anche parzialmente, le creature, ma soprattutto nell’attivarsi al momento del bisogno. Con uno dei grilletti si mira, con l’altro si spara, ma l’intervallo di attivazione del gas non è veloce quanto quello dell’arma da fuoco, per ovvi e realistici motivi. Pur comprendendo che un gas non possa uscire veloce quanto un proiettile, è stato frustrante vedere su di sé le creature senza poter fare quasi nulla.
Se la telecamera dietro le spalle costringe al sistema di puntamento appena descritto, non si può introdurre il Frost Grip senza la possibilità di usarlo mentre si corre. In seguito, ad esempio, verranno sbloccate utilissime bombe e mine che però non potranno essere lanciate grossolanamente, senza puntare, per salvarsi la pelle; dovrete sempre puntare, che significherà camminare lentamente.
Ora immaginate di avere dei Decoy abbastanza veloci che vi inseguono in un tunnel sotterraneo, ed altre creature decisamente fastidiose, alcune immortali se non congelate completamente, altre che rinascono, e di dover mirare e spruzzare un gas che, oltre a non essere infinito, ci mette un po’ a fare il suo dovere. Aggiungiamo poi che le creature spuntano dal nulla, all’improvviso, generandosi di colpo davanti ai nostri occhi, in un luogo spoglio pochi istanti prima.
Oltre ai Decoy, tanto per aggiungere pepe ed imprevedibilità, c’è un’altra creatura che vi costringerà a non fermarvi mai: la Sparker. Apparentemente lenta ed innocua sarà in grado di sparire e di riapparire letteralmente alle vostre spalle e, con un solo colpo, eliminarvi; una sorta di ninja estremamente letale.
La sua presenza, ciliegina sulla torta, dimezzerà il serbatoio del vostro Frost Grip. L’unione tra Decoy e Sparker finisce per essere più una spina nel fianco che una sfida da affrontare e, il più delle volte, ho avuto l’impressione di riuscire nel mio intento per pura fortuna; ricordiamo che la sfera di energia rilasciata all’uccisione di uno può rimettere in vita un cadavere o unirsi ad una creatura già esistente per renderla immortale. Un incubo, anzi un Daymare.

Una delle tattiche sarebbe proprio quella di muoversi continuamente, di non stazionare in un punto per colpire e di coprire invece tutta l’area di combattimento. Sarebbe bellissimo e avvincente, perfetto per spezzare l’ansia dell’ignoto con un po’ di adrenalina; peccato che le caratteristiche appena elencate rendano difficile questa esperienza.
Scappare non sarà sempre possibile, perché alcune volte il gioco vi costringerà ad affrontare le creature in una sorta di piccolo dungeon, ed è per questo che avrei preferito una maggiore mobilità da parte del personaggio, oppure l’introduzione di combo rapide, almeno per tamponare e far prevalere l’intelletto.
La coerenza assoluta con la trama, e penso ad una delle prime creature incontrate in Daymare 1998, una di quelle che dovevi eliminare sparando a dei tubi che, guarda un po’, conteneva qualche sostanza congelante (credo azoto), è davvero gradita. Sandcastle spiega definitivamente la correlazione tra RAM77, la tossina Daymare, l’OGRE, il freddo ed il significato della parola stessa Daymare: esperienza in cui si è svegli, ma non si riesce a controllare il corpo.
Non amo dare voti, ma sarebbe un dieci già soltanto per questo. Il problema sta però nel fatto che siamo videogiocatori e ci piacerebbe poter affrontare le creature a testa alta, pur consci del fatto che, in un survival, non ci si possa mai sentire al sicuro.
3 – Inventario rivoluzionario
Pur non volendolo paragonare continuamente a 1998, la mente non può far altro che tornare a quella gestione rivoluzionaria dell’inventario. L’idea di dover occupare degli slot per i caricatori e, conseguentemente, ricaricare prima quelli e solo dopo inserirli nell’arma, mi fece impazzire. Era una piccola e grande introduzione che rendeva realistica la gestione delle armi, perché è impensabile che un soldato possa portare con sé tutte quelle cose, ma soprattutto che la ricarica avvenga istantaneamente.
Forse pochi ci pensano, ma un’arma, per essere ricaricata, o possiede già dei caricatori pronti all’uso, chiusi, usa e getta per intendersi, oppure i colpi vanno inseriti gradualmente nel caricatore; la scelta, per le armi più leggere come una pistola, ricade quasi sempre sulla seconda tipologia. Ed eccovi lì, davanti ad una creatura assetata di sangue e voi, premendo A ricaricate istantaneamente quindici colpi nella vostra Beretta: facile vero? Ciò in 1998 non era fortunatamente possibile.
In Daymare 1998 la gestione dell’inventario, e delle armi, era molto realistica, pur introducendo la possibilità di gettare velocemente un caricatore esaurito con un tasto (recuperabile in seguito), ed introdurre il secondo caricato in precedenza; realistico si, frustrante no.

Questa possibilità era stata introdotta, perché aprendo l’inventario il gioco non andava in pausa. In altri survival non ho mai compreso come di colpo, in un combattimento, ci si possa fermare per recuperare energie, ricaricare le armi e così via. Anche in Daymare: 1994 Sandcastle il gioco non va in pausa, ma il resto viene meno.
Siamo di fronte ad un approccio molto più classico, con armi che non occupano spazio e munizioni. La scelta di una mitragliatrice leggera, che ha con ogni probabilità caricatori già pronti e chiusi (ma i colpi inesplosi nel vecchio che fine fanno?), ed il fucile a pompa, che si ricarica velocemente colpo per colpo direttamente nel corpo dell’arma, hanno bypassato questa gestione dell’inventario che avevo trovato rivoluzionaria e vincente in 1998.
Questa su tutte è una critica opinabile, perché mi rendo conto essere una questione di gusto personale, ma l’impressione è quella di una semplificazione di una caratteristica precedente originale e distintiva.
Prima di procedere con le conclusioni va menzionato il lavoro tecnico. Daymare: 1994 Sandcastle è stato provato sulla mia Xbox Series S ed ho avuto importanti problemi grafici, probabilmente dovuti alla macchina meno performante di casa Microsoft: confido in aggiornamenti futuri. Nulla da dire, e lo ripeto, sulla soundtrack ed il comparto sonoro in generale che, anzi, coinvolge il giocatore in pieno.
Conclusioni
Daymare: 1994 Sandcastle va giocato nonostante i limiti e le critiche mosse. 2duerighe ed Altea Gamer Squad non danno mai voti, non riassumono mai in un trafiletto a piè di pagina il lavoro di anni di un team, che sia degli Invader Studios o di altri, quindi spero che la lettura, pur lunga e dettagliata, sia un punto di partenza e non di arresto per comprendere appieno la trilogia di Daymare. Personalmente, da un punto di vista soggettivo, il gioco mi ha divertito molto, anche se, in alcuni punti, e lo avrete capito dalle cose scritte, ho avuto la sensazione di un passo indietro.
Se cercate una storia, una trama fitta e piena di colpi di scena è il gioco che fa per voi, ma non dimenticate di recuperare prima Daymare: 1998.