Nuove frontiere: Il Cloud Gaming

A guardarla nel suo insieme, l’evoluzione dell’intrattenimento multimediale appare più come un processo di trasformazione dei linguaggi in esso racchiusi, a cui si accompagnano metamorfosi – talvolta anche profonde – del sostrato culturale che ne è stato attraversato. L’avvento del sonoro ha cambiato radicalmente il modo di concepire il cinema, ad esempio, promuovendo scelte registiche e attoriali ben diverse da quelle canonizzate in precedenza grazie alle nuove possibilità offerte dalla tecnologia; a ribadirne l’importanza è un recente studio dell’università di Haverford – The cognitive processing of film and musical soundtracks – che dimostra come sia sufficiente modificare gli elementi musicali in una scena per influenzare la percezione dello spettatore.
Non di minor impatto possono essere state a questo punto rivoluzioni come quella della computer grafica, o l’arrivo di Blockbuster e in seguito di Netflix. Al variare della tecnica e dei modelli di distribuzione le capacità espressive del medium hanno subìto un’alterazione significativa: è cambiato insomma il modo di narrare, di raccontare storie, e di conseguenza le storie stesse, raccogliendo di volta in volta sogni e paure di una società che mutava per mezzo delle medesime innovazioni. Celebre è la scena di “The Artist” – film diretto da Michel Hazanavicius – in cui, alla comparsa dei primi suoni, il protagonista viene colto da uno sconcertante senso di stupore.
Se oggi facciamo ricorso all’espressione “retrogaming” per identificare una certa tipologia di videogiochi è perché i solchi lasciati da avvenimenti storici come il passaggio dal 2D al 3D hanno generato un cambiamento anzitutto estetico, prima ancora che tecnologico, offrendo scorci interpretativi e metodi di accogliere il reale sempre diversi, più in linea con il nostro divenire – o l’idea che ne avevamo – e per questo capaci di plasmare “epoche” uniche tra loro.
Ed è proprio la speranza di poter indagare il presente, carpire quel che ne riluce e provare – senza la pretesa di fare pronostici affidabili – a tratteggiare gli scenari futuribili del gaming che anima questa rubrica: Nuove frontiere vuole essere il punto di raccordo tra un oggi incerto, preda di controversi e voraci mutamenti, e il domani che verrà con tutte le sue promesse, felici o inquietanti che siano.
Da dove cominciamo? Dal Cloud.
Verso l’era dello streaming?
Quando tempo fa scrissi dell’acquisizione di Activision-Blizzard da parte di Microsoft altro non cercavo che di immaginare – sia pure andando a tentoni – un nuovo paradigma del videogioco, interpretando quella epocale mossa della casa di Redmond come la più tangibile tra le avvisaglie di un cambiamento generalizzato quanto imprescindibile. L’assunto era che prima o poi si sarebbe verificata un’emancipazione dall’hardware, allineandomi così a quello che, in tempi non sospetti, poteva suonare addirittura come un terribile presagio per tutti gli appassionati di console.
La verità è che il vaticinio proclamato dal noto analista Michael Pachter – il quale, già qualche anno fa, sosteneva che avremmo avuto “l’opportunità di scaricare tutti i nostri giochi in un PC e giocarli direttamenti nella TV” entro il 2020 – è stato disatteso solo parzialmente. Stando all’ultimo report di Newzoo, infatti, il settore del cloud gaming ha raggiunto proprio nel 2021 un punto di svolta, con una spesa totale di 1.5 miliardi di dollari a fronte dei 21.7 milioni di utenti abbonati a servizi di streaming.
E solo recentemente, in concomitanza con l’avvio della Summer Game Fest, ha fatto capolino l’annuncio secondo cui, dal 30 giugno, sarà possibile installare l’app Xbox sulle Smart TV Samsung di ultima generazione, così da poter accedere al catalogo di giochi in cloud compresi con Game Pass Ultimate (l’unica impellenza sarà quella di collegare un qualunque controller tramite Bluetooth). Una strada battuta, peraltro, anche da colossi quali Tencent e NVIDIA, che si stanno adoperando per stringere accordi commerciali con LG, oltre alla stessa Samsung.

Dando uno sguardo più generale al panorama, oltre a Microsoft il cloud gaming può contare su esponenti di tutto rispetto come Google Stadia – i cui demeriti si rifanno più al suo modello di business tutt’altro che competitivo – e GeForce Now. Si accodano a questi il decollo – per ora tutto americano – di Amazon Luna e la rivisitazione di PlayStation Now, che è stato inglobato nella fascia più alta dell’abbonamento di Sony dopo la “fusione“ con il Plus.
Considerando anche l’esistenza di piattaforme come Parsec, Shadow, Boosteroid e la sempre maggiore facilità con cui accedere ai servizi di streaming direttamente da smartphone, appare chiaro come quella del cloud sia un’ipotesi sempre più concreta ed economicamente rilevante per lo sviluppo dell’industria tutta, laddove una prima, consolidata tripartizione tra PC, console e mobile viene messa ora in discussione dalla crescita, peraltro trasversale, di un nuovo settore foriero di grandi opportunità.
La filosofia del Cloud Gaming
Il sentore comune è che si possa giungere facilmente ad una diffusione capillare del cloud, idea motivata non solo dai numeri piuttosto incoraggianti circa lo stato di salute di questa nuova tecnologia, ma anche da ciò che filosoficamente rappresenta in quanto stadio evolutivo del medium. Sarebbe infatti impossibile non tracciare un parallelismo con gli altri due grandi contendenti dell’intrattenimento di massa: avendo Spotify e Netflix riscritto completamente il modo di fruire di musica e serie TV, la “svolta streaming” per il videogioco – che è solo il più giovane tra tutti i media – appare come un passaggio obbligato.
Anzi dalla prospettiva della rivoluzione digitale attuata proprio da queste compagnie la smaterializzazione dell’hardware acquista un significato peculiare; non si può certo negare, d’altronde, che tanto i Coin-op quanto le console abbiano avuto un primato storico nel determinare luoghi, tempi e modalità dell’attività ludica. La liberazione dal supporto fisico, che per decenni ha ridotto il videogioco ad un bene elitario, concorre piuttosto al compimento della (iper)democratizzazione quale presupposto fondamentale dell’introduzione stessa di Internet, dei social media, e di tutto ciò che costituisce la nostra contemporaneità.

E in base al modello del sistema operativo sociale – espressione coniata dal sociologo Barry Wellman per indicare la corrispondenza tra il fitto schema dei rapporti interpersonali e una dotazione tecnologica in grado di incorporarli – il cloud gaming reinventa potenzialmente il concetto di partecipazione attraverso un’immediatezza senza pari, figlia di quella stessa filosofia che vuole il complesso confinato sotto la superficie liscia del touch screen in modo che tutto sia più semplice e intuitivo. Si propone così una leggerezza del videogiocare: alla perdita del momento rituale – istituito dalla funzione totemica della console – si sostituisce l’approdo in un mondo di fugace virtualità, di accessibilità incondizionata, sintomo di una gamification ineffabile ma che erode ogni routine.
Mentre su Il Tascabile Irene Doda parla del Web3 come di una rivoluzione ipotetica, suggerendo di ridimensionare le aspettative nei confronti di metaversi, blockchain et similia, non posso fare a meno di notare che parte del medesimo tecnoentusiasmo sia inevitabilmente filtrato, forse da ben prima, nella cultura del gaming (e vale la pena di chiedersi se non sia proprio da lì che proviene).
Twitch Plays Pokémon, ad esempio, è il nome di un evento alquanto singolare che risale ormai al 2014 in cui uno streamer ha giocato a Pokémon Rosso con i suoi spettatori sulla celebre piattaforma di proprietà Amazon. Tramite un programma che interpretava come comandi da eseguire quanto scritto in chat (“A”, “B”, “Select”, ecc.) il pubblico è stato in grado di partecipare in maniera attiva, determinando tutte le decisioni di gameplay necessarie: 16 giorni, 7 ore e 45 minuti il tempo impiegato per completare l’intero gioco.

La (volontà di) potenza del cloud è questa, ed il linguaggio dello streaming la realizza a pieno, specie se consideriamo numeri come la media di 30.000 spettatori e i picchi di 100.000 che ha avuto un simile evento. Ancora più criptiche e allusive diventano ora le affermazioni di Hideo Kojima, che durante il Xbox & Bethesda Games Showcase ha spiegato di poter finalmente lavorare ad un gioco mai visto prima “grazie alla tecnologia cloud di Microsoft”. E stiamo pur sempre parlando di chi stupì tutti con la lettura della memory card in epoca PS1.
È perciò quella delle esperienze collettive la deriva che attende il gaming in cloud? Difficile dirlo, ma se Ridley Scott – per riprendere l’analogia cinematografica dell’apertura – si immaginava un futuro asservito alla tecnologia dove avremmo guidato macchine volanti, possiamo allora smentire, almeno in parte, la sua proiezione: ciò a cui assistiamo oggi è l’annullarsi di ogni tipo di distanza – spaziale e temporale – in favore di una simultaneità operativa che non ammette confini.
Le incognite future
Non priva di sfide considerevoli è però la strada del cloud gaming, la cui prima criticità si riscontra nell’annosa questione del digital divide. Essendo la connessione di rete il requisito fondamentale per una fruizione ottimale dei contenuti in streaming, va da sé che si debba raggiungere quantomeno uno standard generale perché questo tipo di tecnologia possa fornire esperienze ugualmente gratificanti a tutti i videogiocatori.
E benché lo spostamento dell’elaborazione da locale a cloud permetta di avere spazi di archiviazione ben maggiori rispetto alla memoria interna delle console, dando così la possibilità di creare videogiochi ancora più grandi e ricchi di feature, non bisogna trascurare il fattore della distanza geografica dai server, spesso causa di problemi di latenza – tutt’altro che trascurabili per intere fasce di pubblico come gli appassionati di eSports.

Altra questione, forse ancora più spinosa, che rimane insoluta riguarda le strategie di monetizzazione. Perché lo streaming di videogiochi costituisca una valida alternativa al gaming tradizionale è necessario che l’offerta comprenda un catalogo on demand con la formula dell’abbonamento mensile: il “fallimentare” lancio di Google Stadia dimostra come sia impensabile far acquistare singolarmente e a prezzo pieno i vari titoli. Un modello in stile Netflix, tuttavia, sembra difficilmente sostenibile al momento per via dei costi delle infrastrutture (anche se buona parte dell’investimento iniziale è stato fatto già da Microsoft, Google e Amazon) e della trasmissione dati.
Lo streaming di un video è infatti molto meno oneroso rispetto a quello di un qualunque videogioco, che consiste in un continuo scambio di input e output cui la larghezza di banda deve sopperire nella maniera più efficace possibile, con annesso surriscaldamento delle schede grafiche e un notevole dispendio di energia. Occorre peraltro notare che per i videogiochi non è possibile adottare tutti quegli escamotage messi in atto per la trasmissione di film e serie TV, come il precaricamento o la compressione tramite codifica multipass, accorgimenti che alleggerirebbero di non poco lo sforzo richiesto per il rendering.
Ultimo, ma di certo non per importanza, è poi l’impatto ambientale dei data center. Per le ragioni di cui sopra, essendo quest’ultimi dei giganteschi agglomerati di server alimentati con combustibili fossili, i consumi energetici arriverebbero a provocare, stando ad uno studio dell’Università di Lancaster, un aumento delle emissioni di carbonio pari al 112% nel caso in cui il cloud gaming diventasse la normalità per la maggior parte dei videogiocatori. Stime tutt’oggi dibattute, ma che tengono pur sempre conto di uno streaming a risoluzioni 720p e 1080p: se dovesse diffondersi il 4K, avvertono i ricercatori inglesi, il quadro generale sarebbe decisamente più preoccupante.

A questo punto, lo avrete capito, stabilire se il cloud riuscirà a soppiantare le console è un’operazione tutt’altro che intuitiva, e il rischio di incorrere in previsioni azzardate è dietro l’angolo. Quello che possiamo fare – in fondo è proprio questo lo scopo di Nuove frontiere – è servirci della ricognizione che abbiamo compiuto verso i lidi della rivoluzione digitale e inquadrare dunque la tecnologia del cloud, con tutti i suoi presupposti e tutte le sue implicazioni, come il perno di un movimento che va ben oltre il medium videoludico, ma da cui quest’ultimo trae, se non altro, un peso culturale inedito.