Documentario (quasi) improvvisato di Sekiro: flora, fauna e folklore

Sekiro: Shadows Die Twice è tra i giochi di From Software più ispirati dal punto di vista culturale e storico. La trama è perfettamente inquadrata nel periodo storico in cui è ambientata, e ogni elemento di gioco, che sia di sfondo o un ostacolo concreto per Lupo, che sia una pianta o un animale, che sia un NPC o un boss, è perfettamente coerente con tutti gli altri.
In questo articolo si prenderanno in particolare gli elementi di flora e fauna principali di Sekiro, e di questi si analizzerà la motivazione della loro esistenza nel mondo di gioco e gli elementi culturali e folkloristici da cui sono stati tratti. Nello specifico, si parlerà delle scimmie, dei Centopiedi dell’Immortalità, delle carpe Koi, degli alberi Sakura e del Drago Divino.
Nell’ambito del nostro viaggio attraverso i paesaggi e le narrazioni videoludiche stiamo esplorando diverse sfaccettature della cultura giapponese. Se l’ultima volta abbiamo esplorato la Tokyo moderna, con questo articolo torniamo nuovamente nel periodo Sengoku. Stavolta, però, partendo da una domanda che mi sono posta giocando a Sekiro: Shadows Die Twice qualche anno dopo il suo esordio, ovvero: perché ci sono così tante bestie in questo gioco? E perché proprio queste bestie?
Just kidding, ma mi sono interrogata seriamente sulla presenza di determinati elementi di flora e fauna e della loro posizione nel mondo di gioco. Perché carpe e ciliegi in fiore nel Palazzo della Sorgente sono così ricorrenti? Perché la scelta dei Centopiedi come simbolo di immortalità e di corruzione? E perché mai Lupo deve rincorrere quattro scimmie in un tempio? Analizziamo insieme questi e altri elementi fortemente ispirati al folklore nipponico.
Di scimmie e di proverbi
Le scimmie in generale, e in particolare il Macaco Giapponese (Nihonzaru, 日本猿), sono molto presenti nel folklore, nell’arte e nella cultura giapponese, anche tramite espressioni e proverbi idiomatici. Un esempio di questo è costituito dal proverbio spesso interpretato tramite tre Scimmie che, rispettivamente, si coprono gli occhi, le orecchie e la bocca, da qui il detto “Non vedo – Non sento – Non parlo” (See no evil, hear no evil, and speak no evil); seppure il detto iniziale non avesse nulla a che fare con le scimmie, esse sono comparse nell’immaginario collettivo a causa di una assonanza tra la parola giapponese per scimmia (saru, 猿) e le desinenze del detto in giapponese (mizaru, kikazaru, iwazaru, 見ざる, 聞かざる, 言わざる).
Ciò è rilevante nel caso di Sekiro a causa di un boss che chi ha provato il titolo ricorderà bene, probabilmente anche con un pizzico di frustrazione: le Scimmie del Tempio. I giocatori ricorderanno che però le scimmie sono quattro, contando quella invisibile che segue il giocatore dall’inizio della propria permanenza nelle Sale dell’Illusione. Questa Quarta Scimmia farebbe riferimento a una versione modificata del detto che aggiungerebbe un “Non faccio” (Do No [Evil], shizaru, し猿).
Oltre alle Scimmie del Tempio, il riferimento ai macachi giapponesi è ricorrente anche nella Forra, dove troveremo un numero importante di scimmie nella strada che conduce all’arena di combattimento della Scimmia Guardiana.
Questo boss, che si tratta quindi di un macaco troppo cresciuto, ha una peculiarità che lo collega al secondo gruppo di creature di cui è utile parlare in questo contesto. Tale peculiarità non è altro che l’Immortalità, tema ovviamente centrale in un gioco il cui sottotitolo ricordiamo essere “Shadows Die Twice”, e che in questo caso specifico si manifesta tramite una creatura differente che pare vivere in simbiosi con la Scimmia Guardiana: il Centopiedi.
Di centopiedi e di carpe
I Centopiedi dell’Immortalità sono creature piuttosto oscure in termini di narrazione. Di queste creature sappiamo che si trovano all’interno della già citata Scimmia Guardiana, in Hanbei (l’NPC che ci aiuta nell’allenamento), nei monaci del Tempio Senpou e nella Monaca Corrotta. Il rapporto tra l’ospite e il Centipede è un esempio quasi scolastico di simbiosi: l’ospite trae vantaggio dal parassita tramite l’Immortalità, e può comunque svolgere le sue regolari funzioni vitali e scopi – la Monaca protegge il Ponte situato all’ingresso del Palazzo della Sorgente, i monaci del Tempio Senpou meditano sull’Immortalità, e così via. Il parassita, dal canto suo, riceve vitto e alloggio gratis. Un buon trade-off, no?

Chiuso l’excursus biologico serio, ma non troppo, e tornando alla questione dell’Immortalità: sui Centopiedi di Sekiro non si sa molto ma è ragionevole supporre che si nutrano e/o che provengano direttamente dalle Acque del Ristoro, le vere protagoniste del titolo, come vedremo a breve. Questa teoria è confermata dalla presenza di alcuni centopiedi sul fondo del lago del Palazzo della Sorgente: sono piccoli, fluorescenti e sembrano essersi nutriti dal cadavere di una carpa gigante.
A proposito delle carpe che popolano il Palazzo della Sorgente: probabilmente appartenenti alla specie Taisho Sanke o Showa Sanke, meglio note come carpe Koi, esse traggono ispirazione dalla Leggenda del Cancello del Drago, secondo la quale se una carpa fosse riuscita a saltare oltre una cascata enorme e sopra al Cancello, si sarebbe potuta trasformare in un drago. Per questo motivo, nella cultura giapponese la carpa è considerata simbolo di successo e trasformazione. Aspetta… Una carpa rossa che si trasforma in un drago dalla forma serpentina… in quale altro prodotto videoludico nipponico abbiamo sentito parlare di questa trasformazione, o meglio, evoluzione?
Tornando ai centopiedi, essi sono direttamente ispirati dalla leggenda dell’Omukade: uno yokai, una creatura malvagia, dalla forma di un centipede gigante che ricopre il ruolo di controparte negativa del drago nella leggenda. Questo ruolo calza perfettamente con il mondo di Sekiro, dato che i centopiedi dell’Immortalità sono appunto nati dalla stagnazione delle Acque del Ristoro.
Di Acque stagnanti e di ciliegi
Come accennato in precedenza, intorno alle Acque del Ristoro infatti si dipana l’intero intreccio narrativo di Shadows Die Twice. Esse derivano dalla linea di sangue del Drago Divino, a cui appartiene Lord Kuro, a sua volta generata dall’arrivo del Drago nelle Terre degli Ashina. Da questo evento sono scaturite infatti diverse forme di Immortalità e, di conseguenza, di corruzione delle vite degli uomini.

Il Drago Divino, nella sua forma sinuosa e serpentina, trae ispirazione da ben tre archetipi: i draghi “naga” delle leggende Buddhiste, i draghi “lóng” della mitologia cinese e i serpenti colossali della mitologia giapponese, anch’essi presenti in Sekiro sotto forma del Grande Serpente della Forra.
Inoltre, il Drago Divino è denominato Drago Sakura sia nella versione nipponica del gioco, sia nei file interni allo stesso. Con Sakura (桜) si definisce sia l’albero che il fiore di ciliegio, iconico in quanto è oggi il fiore nazionale del Giappone; è interessante che questa simbologia venga associata ad un qualcosa di immortale, in quanto la fioritura del ciliegio è normalmente osservabile soltanto in un periodo di una settimana, un intervallo di tempo effimero per definizione. Tuttavia, i fiori degli alberi Sakura di cui è costellata l’area del Palazzo della Sorgente, dimora del Drago, sono perenni: ciò è dovuto proprio alla presenza del Drago stesso e delle Acque del Ristoro.
Quando arriviamo per la prima volta all’area del Palazzo, ci troviamo di fronte a un panorama mozzafiato; tuttavia, le conseguenze dell’Immortalità sulle terre degli Ashina e sulle vite umane conferiscono alla bellezza degli alberi in fiore tutt’altro colore.

Conclusione
Concluso il momento David Attenborough (per quanto il paragone sia impietoso) e il documentario semi-improvvisato sul mondo di Sekiro, occorre fare un paio di considerazioni.
La prima è che, realisticamente, alcuni elementi riportati in questo articolo sono piuttosto noti a chi ha giocato il titolo, anche senza troppe ricerche online. La cultura giapponese si è piuttosto diffusa tramite altri media, come gli anime, la musica e… altri videogiochi. Da questo punto di vista, From Software non si è inventata nulla, ma ha certamente tratto ispirazione dal folklore in un modo che, pensandoci, non è del tutto usuale.
Per Sekiro vi è stato un importante studio della cultura nipponica e presa in prestito di svariati elementi dalla stessa, i quali sono stati inseriti in un contesto storico, il periodo Sengoku, ben preciso e motivati da un intreccio narrativo coerente: nessuno degli elementi analizzati è inserito forzatamente, tutto fila in un modo talmente naturale che talvolta nemmeno ci si accorge della presenza di alcuni di essi.
Non perché si tratti presenze poco importanti o visibili, ma perché sono integrate talmente bene da risultare ovvie, naturali, giuste. Questo è il paesaggio di Sekiro: l’insieme della trama legata a Lord Kuro, Lupo e Genichiro, delle aree di gioco suggestive, memorabili e ben distinguibili tra loro, e delle creature che popolano le Terre di Ashina e il Palazzo della Sorgente, da cui scaturisce tutto.
Da qui la seconda considerazione, che si lega al tema della metanarrazione latente che abbiamo già introdotto: non è da sottovalutare la potenzialità del racconto anche attraverso il solo posizionamento di determinati elementi nel mondo di gioco. Qui ne sono stati evidenziati alcuni, ma ce ne sarebbero molti altri in Sekiro e innumerevoli esempi in altri titoli, ed è un aspetto che il mezzo videoludico può sfruttare alla massima potenza, tramite l’unione dell’aspetto puramente grafico e di quello più concreto dell’interazione con gli elementi di gioco.