OMS a sostegno dei videogiochi. Davvero?

L’OMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha lanciato una campagna di sensibilizzazione per spingere le persone a restare in casa, magari giocando proprio con i videogiochi.
La campagna #PlayApartTogether vede coinvolte numerose figure del panorama videoludico come Activision Blizzard, Kabam, Snap Games, Amazon Appstore, Maysalward, Twitch, Big Fish Games, Playtika, Unity, Dirtybit, Pocket Gems, Wooga, Glu Mobile, Riot Games, YouTube Gaming, Jam City, SciPlay e Zynga.
Molti utenti però sui social hanno storto il naso di fronte a questa iniziativa, perché meno di due anni fa l’OMS inserì nel suo ICD, la classificazione internazionale delle malattie, anche il gaming disorder, ossia il disturbo comportamentale causato da un utilizzo improprio dei videogiochi. Cerchiamo di fare chiarezza su un tema estremamente delicato
OMS ed il gaming disorder, un passo indietro
Inserire i videogiochi in un documento ufficiale e classificarli come gaming disorder non deve far pensare immediatamente ad una valutazione negativa in assoluto. Non c’è mai stata una condanna al videogioco, ma soltanto una condanna al suo uso improprio.
L’uso improprio si verifica al manifestarsi di alcune caratteristiche, come:
- Incapacità di controllare il gioco, inteso come frequenza, durata ecc…
- Priorità al videogioco su altri aspetti e momenti della vita. Non recarsi a lavoro o, semplicemente, isolarsi dal tessuto sociale.
- Incapacità nel distaccarsi nonostante l’evidenza di eventi negativi causati proprio dal gioco: perdita del lavoro, ad esempio
Capite bene che l’OMS, da questo punto di vista, non ha cestinato il panorama videoludico con tutti i suoi attori, compresi noi spettatori, ma ha indagato per creare una corretta diagnosi. Stiamo parlando di medicina e questo va ricordato.
Ma davvero il videogioco può portare alcuni di noi verso questa direzione? La risposta è semplice: si
L’influenza dei videogiochi
Il videogioco ci influenza, che sia uno sparattutto multiplayer o una toccante storia singleplayer. Tocca le nostre corde emotive e i nostri processi mentali; ci dà informazioni, un ritmo, un messaggio, una colonna sonora.
Il videogioco è uno dei media più complessi, impossibile da catalogare, ancor più del cinema con tutte le sue sfaccettature e generi. L’impatto è chiaramente diverso per ogni singola persona, perché chi si siede brandendo il gamepad (o mouse e tastiera!), non è un involucro vuoto, ma una persona con un vissuto ed una storia.
Capite bene che giocare ad Hellblade: Senua’s Sacrifice può avere un impatto su chi scrive adesso questo articolo differente da un altro. Questo non significa che un gioco come Hellblade porterà le persone verso una strada che tutti vorremmo evitare, ma che ogni cosa che ci circonda nel mondo ci caratterizza, ci fa crescere, ci determina. Può essere un film, un libro, una discussione nella vita reale, qualsiasi cosa. Siamo esseri relazionali.

Il titolo non è stato scelto casualmente, ma è uno di quelli che mi ha colpito di più, in senso positivo, si intende, e che tratta delle tematiche delicate. Non è un caso se prima di iniziare a giocare vi è un disclaimer da parte degli sviluppatori che avvertono il videogiocatore.
L’esempio è lampante e di facile intuizione, ma la stessa cosa può accadere con Counter Strike, un FPS multiplayer apparentemente innocuo, in cui il terrorista è, casualmente, un tizio dai tratti esotici e con una kefiah al collo.
Sono consapevole del fatto che sto uscendo fuori dalla traccia principale dell’articolo, ma è importante comprendere questo punto: i videogiochi, come qualsiasi altra cosa, ci influenzano.
Ma la colpa, se poi le cose vanno male, non è dello strumento, e neanche del videogiocatore: non si può scaricare qualcuno, additandolo come un pazzo che si è lasciato influenzare.
Siamo tutti influenzati, è questo il punto, ma non essendo degli involucri, come dicevo poco fa, la reazione di ognuno di noi è diversa. Dobbiamo usufruire dei media con maggiore consapevolezza senza cercare ovunque il colpevole.
Pertanto la decisione dell’OMS di studiare una strategia per aiutare le persone affette dal gaming disorder è più che giusta, ma questo non deve portare ad una banalizzazione del media in questione, etichettandolo come disturbante ed anti-sociale
OMS a sostegno dei videogiochi #PlayApartTogether
Non è un caso dunque se proprio l’OMS, per spingere le persone a restare in casa, ha lanciato questa campagna coinvolgendo il più possibile gli addetti ai lavori ed i videogiocatori stessi.
Ray Chambers, ambasciatore dell’OMS per la strategia globale sottolinea che l’obiettivo è quello di: “Raggiungere milioni di persone con messaggi importanti per aiutare a prevenire la diffusione di Covid-19”
Il messaggio è positivo. Rovesciando la medaglia il videogioco diventa momento relazionale, in cui gli utenti online non si fanno soltanto la guerra, ma parlano, incontrano culture diverse, si scambiano un saluto; tutto ciò seduti sul divano di casa.
Probabilmente il lettore di questo articolo sa di cosa parlo: non ci sono soltanto offese e sfide, ma anche e soprattutto momenti simpatici e divertenti con gli altri utenti. OMS quindi non è impazzita e non ha cambiato opinione sul gaming disorder, ma semplicemente fa il proprio mestiere e crea protocolli per aiutare chi esce fuori dagli schemi, chi non è in grado di dissociarsi dal videogioco per condurre una vita il più regolare possibile.
L’impressione dunque è quella di dover seppellire l’ascia da parte di noi videogiocatori e di comprendere con più apertura mentale le decisioni prese dall’OMS, e d’altro canto, non fermarsi mai nel sottolineare quanto questo media, se utilizzato nel modo giusto, possa darci tanto al pari degli altri.