Danser Brut a Bruxelles. Il movimento tra arte, genio, follia
Tutta colpa dell’incendio
In una domenica fredda, blindata e piovosa, uscendo dalla zona centrale di Bruxelles che costeggia la place Royale e il quadrilatero dei musei, si alza, forte e potente, il solito grido di lamentela nei confronti del servizio di trasporti pubblico. Chissà oggi per quale fortuita coincidenza le linee dei tram e dei bus sono deviate proprio in direzione rue Royale, e non si sa quando verranno ripristinate. Sbuffando, mi accingo come gli altri sfortunati passeggeri a cercare fortuna e riparo altrove, fino almeno alla prossima fermata disponibile. Solo tornando a casa apprendo che, dalle quattro di pomeriggio del 18 gennaio, il tetto del BOZAR, uno dei più prolifici centri della cultura contemporanea della capitale belga, aveva cominciato a bruciare. La cultura ha resistito, traballando, alle ferree regole imposte dalla pandemia, ma non a quelle del fuoco. Il museo sarà chiuso per almeno tutto il mese di gennaio, i danni sono importanti ma non irreversibili, due pompieri sono in ospedale ma in condizioni non gravissime, per fortuna.
Danser Brut: l’esplorazione del movimento in mostra
Attanagliata da un ineluttabile senso di colpa, compagno fedele della mia pigrizia congenita, mi accingo solo ora a parlare dell’esposizione Danser Brut, ancora visibile virtualmente, concentrata sulla concezione del movimento in tutte le sue forme. L’espressione corporea, che sia involontaria e spontanea o costruita secondo le regole convenzionali della coreografia, ha per secoli affascinato artisti di molteplici ambiti, ma anche e soprattutto scienziati e studiosi che si sono interessati al fenomeno sotto punti di vista sicuramente meno esplorati. Lontana da essere una didascalica carrellata di storia della danza, la mostra si addentra, talvolta un po’ caoticamente, nei meandri più oscuri e complessi del movimento nelle sue più disparate espressioni, con una ricca selezione di documenti provenienti da ambiti apparentemente discordanti: da estratti di film a maquettes, da opere di videoarte a pastelli, acquerelli, fotografie, fino ad arrivare ad appunti e documenti sicuramente sorprendenti.
Se infatti sono note ai più le affiches dei café-chantant immortalati da Henry de Toulouse-Lautrec, o le esilaranti performances cinematografiche di Georges Méliès e Charlie Chaplin; se sono ben testimoniate, in un altro dei percorsi della mostra, le innovazioni portate dalla danzatrice tedesca Mary Wigman (1886-1973) nell’ambito dell’esplorazione corporea e psichica attraverso la danza; se sono di più difficile interpretazione le celate manifestazioni coreutiche rintracciabili nelle opere di Hans op de Beeck, Rebecca Horn, Arnulf Rainer, Michel François e Marcel-Louis Baugniet; al netto delle dubitazioni, di certo estraneo sembrerà l’apporto degli psichiatri allo svolgimento della mostra. Tuttavia il contributo “medico”, che ha visto la partecipazione del Museo Dr. Guislain di Gand (dedicato ai disturbi mentali) rappresenta l’aspetto più interessante, inedito e coerente dell’intera esposizione. Non è una novità che gli artisti e più in generale le manifestazioni artistiche, fin dalle epoche più remote, siano stati derubricati come indemoniati (ossia portatori del demonio), associati alla follia e a turbe mentali e nervose. Il movimento, e quindi la danza (si pensi al tarantismo o pizzica e al ballo di San Vito, connotato sin dal medioevo come una vera e propria malattia muscolare) sono spesso stati accomunati ai disturbi psichici vicini all’isteria, se non addirittura veicoli di malattie epidemiche. Intorno alla fine dell’Ottocento, un medico francese attivo alla Salpêtrière, celebre ospedale parigino e esperto in malattie nervose, Jean-Martin Charcot (1825-1893) ha restituito uno studio approfondito e accuratissimo sul movimento nei pazienti isterici, coniugando le ricerche mediche e anatomiche ad un album di disegni e testimonianze documentarie di sorprendente vigore e veridicità, nelle quali ogni gesto è associato ad una particolare “caratteristica” neurologica.
Dalle primordiali e inconsulte espressioni corporee, fino alla “normalizzazione” della pratica e del linguaggio gestuale attraverso la riproduzione del movimento secondo direttive ben note anche nell’improvvisazione, l’esposizione Danser Brut si inserisce nella complessa ma necessaria via intermedia, dove tutto si fonde e si confonde, ma che apre uno spiraglio utile a nuovi e stimolanti interrogativi.