Elegante e tenebroso, The Blue Hour è il nuovo album dei Suede

È stato pubblicato venerdì 21 settembre The Blue Hour l’ottavo album in studio dei Suede, la rock band inglese che – nonostante non ami essere associata troppo a quel periodo – conosciamo per essere tra i maggiori esponenti del Britpop.
Il disco è il terzo volume di una trilogia iniziata nel 2013 con Bloodsport e proseguita nel 2016 con Night Thoughts. I tre dischi si collocano su tre crescenti livelli di rischio: se il primo risulta molto Suede, The Blue Hour rappresenta la definitiva uscita dalla comfort zone nella quale può essere facile confinarsi dopo 26 anni di carriera alle spalle. Fin dalla prima traccia, anni luce lontana dalla leggiadria di The Beutiful Ones, l’ottavo album dei Suede segna la conquista di territori mai esplorati prima da Brett Anderson e soci.
Le 14 tracce del disco dipingono un mondo oscuro, tetro e minaccioso, quello che un genitore teme che il proprio figlio debba affrontare prima o poi. Un mondo – come lo ha descritto Anderson in una recente intervista su NME – in piena crisi dei valori, post-politics e post-truth. The Blue Hour si intreccia con la vita del cantante non solo perché ne restituisce la visione oscura della realtà, ma anche perché è stato scritto in parallelo alla sua autobiografia dal titolo Coal Black Mornings.
Il trailer che anticipava il disco – l’immagine di un uccellino morto adagiato sulla neve – aveva già dato un assaggio dell’atmosfera cupa, a tratti horror dell’album che può essere ben descritto usando un linguaggio cinematografico. L’ascolto coinvolge tutti i sensi che stimolati ci trasportano in un set rurale dove l’aria è fredda e umida e dove lo scricchiolio dei rami si mescola a lugubri lamenti inseriti come spezzoni di horror in testa o in coda ad alcune tracce.
Il panorama di suoni è vasto, gli archi si accostano a chitarre distorte e a cori che ricordano i canti gregoriani, il tutto valorizzato dal potenziale evocativo della voce di Anderson. Il risultato finale è quello di un disco a metà strada fra il rock e la colonna sonora di un thriller. A produrre l’effetto cinematografico contribuiscono gli archi della City Of Prague Philharmonic Orchestra arrangiati da Neil Codling – voce e tastiera del gruppo – insieme a Craig Armstrong, compositore di numerose colonne sonore tra cui quella del film Il collezionista di ossa.
Al primo ascolto l’impressione che lascia The Blue Hour è di una certa disomogeneità, come se fosse l’insieme di brani appartenenti ad album diversi. Beyond the Outskirts disorienta con i suoi repentini cambi, Chalk Circles ricorda una marcia funebre, Dead Bird è interamente parlata, mentre Life is Golden – non a caso selezionata come primo singolo – è molto radiofonica. Tuttavia l’attenzione viene premiata quando si va oltre la melodia per focalizzarsi sul songwriting che rivela una narrazione comune tra un brano e l’altro. La vulnerabilità della condizione umana nei suoi diversi aspetti, le paure infantili pervadono l’ultimo lavoro della band che ci lascia in sospeso con molte domande e poche risposte. Gli inglesi definiscono disturbing la sensazione che a tratti si prova scorrendo tra le tracce di The Blue Hour, ossia un’emozione perfino sgradevole che si produce con lo scopo di stimolare una riflessione.
All’epoca dei dischi usa e getta, l’ultimo lavoro dei Suede rientra fra quelli che resisteranno alla prova del tempo riservandoci nuove scoperte ad ogni ascolto. Per comprenderlo a fondo bisognerà però attendere il 4 ottobre, unica data italiana della band in programma al Fabrique di Milano.