Una nuova casa per l’Europa, la sfida utopica del New European Bauhaus

Il nuovo programma globale lanciato dalla Commissione Europea per una cultura sostenibile
Le fondamenta dell’Europa hanno radici antiche e recenti, vicine e lontane, simili e diverse allo stesso tempo. Resistono con coriacea determinazione al trascorrere del tempo e agli impietosi agenti esterni di ogni genere e sorta: l’incuria, gli inesorabili effetti climatici, le aggressioni violente da parte dell’uomo. Le radici sono forti, ma delicatissime e rischiano di non riuscire più a sopportare il peso dell’umanità: è con tono allarmistico ma pieno di speranza che la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha lanciato poco meno di sei mesi fa, l’ambizioso e utopico progetto del New European Bauhaus, dando avvio ad una nuova politica culturale strettamente legata alla sfida comunitaria, ben più temeraria, che il Green Deal impone nei prossimi decenni a venire. “The New European Bauhaus – si legge nei principali comunicati stampa ufficiali – is an environmental, economic and cultural project, aiming to combine design, sustainability, accessibility, affordability and investment. The New European Bauhaus is a creative initiative, breaking down boundaries between science and technology, art, culture and social inclusion, to allow design to find solutions for everyday problems”. Al di là dei tecnicismi e delle scadenze sul programma che saranno sicuramente più chiari nei mesi a venire e di cui le prime fasi sono in via di continuo sviluppo – una prima deadline, una sorta di concorso di idee, è prevista per l’estate 2021 con la scelta di cinque grandi progetti – e il processo si propone ampiamente partecipativo.

Il Bauhaus di ieri, il Bauhaus di domani
Vale la pena tuttavia interrogarsi e riflettere sulla scelta di legare questo progetto ad uno dei più importanti movimenti culturali che la storia europea tra le due guerre abbia conosciuto, il Bauhaus. Non sono mancate obiezioni etimologiche, confluite ad esempio nell’ “Objections to the term New European Bauhaus“, lettera redatta nel novembre 2020 dal corpo accademico del Jan Van Eyck Institut. Non sono state risparmiate, da una parte della stampa, le insinuazioni di nazionalismo di cui il programma è stato accusato – la prossimità geografica della presidente della Commissione con la scuola fondata da Walter Gropius a Weimar nel 1919 – né l’allusione “politica” alla persecuzione nazista che costrinse la scuola prima al trasferimento a Dessau (1925), poi alla sua chiusura definitiva (1933) con la drammatica diaspora degli architetti. Il New European Bauhaus non può porsi nella linea di continuità storica con il movimento che nel 2019 ha compiuto cento anni. L’ispirazione al Bauhaus non può essere letta come la disperata ricerca di una rievocazione di un passato decisivo e memorabile, o il tentativo di reviviscenza di personalità carismatiche che hanno plasmato il mondo della cultura europea e internazionale attraverso il loro pensiero e le loro opere rivoluzionarie. Sarà impossibile replicare le teorie sincretiche di risonanza cromatica di Johannes Itten, o le idee di funzionalismo progettuale di Gropius, o ancora le proposizioni più ampiamente artigianali elaborate da Mies van der Rohe. Ma la permeabilità dello spirito profondo del Bauhaus risiede nella volontà di elaborare una “scienza” culturale transnazionale, globale ma che conservi una dimensione umana; artigianale e allo stesso tempo tecnologica; operare affinché la vita quotidiana si configuri come un Gesamtkunstwerk, un’opera d’arte totale e totalizzante. Il documentario- trilogia creato nel 2019 dal canale tedesco Deutsche Welle, Bauhaus World, riassume efficacemente il principio immateriale che ha permesso al Bauhaus di svilupparsi nel mondo. Troppo poco ancora si parla del ruolo fondamentale delle donne all’interno del movimento, che le nuove pubblicazioni stanno fortunatamente mettendo in luce (una su tutte, la più recente Bauhaus Women: a Global Perspective di Elizabeth Otto e Patrick Roessler, edita nel 2019 da Bloomsbury).

Riscoprire le ottimistiche creazioni tessili, fotografiche e architettoniche di Gertrud Arndt o di Benita Koch-Otte e immergersi nelle loro quotidiane battaglie per l’emancipazione personale e intellettuale alimenta la speranza che anche il nuovo progetto europeo si faccia carico dell’impegnativa ma stimolante impronta utopica che l’universo composito del Bauhaus ha lasciato in eredità.