“Dieci piccoli indiani…e non rimase più nessuno!” al Teatro Quirino

“Dieci soldatini se ne andaron a mangiar: uno fece indigestione, solo nove ne restar.”
Dal 9 al 21 gennaio 2018 al Quirino di Roma è in scena lo spettacolo teatrale “Dieci piccoli indiani…e non rimase più nessuno!” per la regia di Ricard Reguant.
Dieci persone vengono invitate, con differenti motivazioni, da un misterioso Signor Owen, a soggiornare in una piccola isola. L’isola però si trasforma da paradiso terrestre a inferno: tutti gli invitati saranno uccisi, seguendo le rime di un’antica filastrocca per bambini, sempre più lugubre ed inquietante. L’assassino, tramite la sua voce registrata su un grammofono, accusa i dieci ospiti di aver commesso crimini che la “Giustizia” non ha potuto punire.
“Nove soldatini fino a notte alta vegliar: uno cadde addormentato, otto soli ne restar.”
I dieci protagonisti – il giudice Wargrave (Luciano Virgilio), la signorina Vera Claythorne (Caterina Misasi), il capitano Lombard (Pietro Bontempo), la signorina Brent (Ivana Monti), il generale Mckenzie (Alarico Salaroli), il dottor Armstrong (Carlo Simoni), il giovane Marston (Leonardo Sbragia), il detective Blore (Mattia Sbragia), il maggiordomo e cameriera Thomas ed Ethel Rogers (Tommaso Minniti e Giulia Morgani) – diminuiranno finché non rimarrà più nessuno; ognuno ha un carattere e una personalità differente, ma con in comune un terribile segreto: tutti sono responsabili della morte di almeno una persona.
“Otto soldatini se ne vanno a passeggiar: uno, ahimè, è rimasto indietro, solo sette ne restar.”
Tutti i protagonisti, quindi, sono colpevoli, anche se cercano ipocritamente di giustificarsi: vengono eliminati progressivamente sino al tragico finale, dove nessuno più rimane.
I dieci piccoli indiani bloccati sull’isola sono vittime o assassini? Questa è la domanda che la scrittrice (Agatha Christie) pone a sé stessa svelando al pubblico il lato nascosto di una classe borghese e aristocratica, dove i protagonisti agiscono in un’unica arena (una sorta di Battle Royal), dove si confrontano e sbranano per la sopravvivenza, fino a diventare esseri volgari e ordinari.
“Sette soldatini legna andarono a spaccar: un di lor s’infranse a mezzo, e sei soli ne restar.”
L’uso della filastrocca infantile, che dà il titolo all’opera, ribadisce il clima angosciante, che si manifesta tra i due poli della colpa e dell’innocenza.
La stessa filastrocca è un’arma a doppio taglio: aiuta a creare quell’atmosfera magica e surreale, quella regressione infantile verso una vacanza nell’irrazionale, e, contemporaneamente, scandisce, con un ritmo inesorabile, la minaccia che incombe su ogni personaggio.
“I sei soldatini giocan con un alvear: da una vespa uno fu punto, solo cinque ne restar.”
E’ la morte che detta le regole (esempio lampante è l’inquietante filastrocca che si snoda per tutta la durata dello spettacolo), anticipando il modo in cui gli insignificanti “soldatini” moriranno. E la stessa morte arriva all’improvviso e sconosciuta, proprio come il nome del giustiziere, il padrone di casa, che si cela sotto lo pseudonimo di U.N. Owen (che richiama la parola inglese “Unknown”, cioè sconosciuto).
“Cinque soldatini un giudizio han da sbrigar: un lo ferma il tribunale, quattro soli ne restar.”
Tutti questi giochi di parole (la filastrocca e lo pseudonimo di Owen) che sembrano creare confusione e incertezza fra gli ospiti, dovrebbero, invece, spingerli a meditare sulle loro colpe e sulla effimera caducità della loro esistenza.
Il loro destino è segnato fin dall’inizio: i dieci personaggi arrivano all’isola, simbolicamente l’Aldilà o addirittura l’Inferno, condotti da un barcaiolo che ricorda l’inquietante Caronte, il traghettatore di anime dell’Inferno di Dante.
“Quattro soldatini salpan verso l’alto mar: uno un granchio se lo prende, solo cinque ne restar.”
La parola “indiani” della filastrocca del libro muta in “soldatini” per sottolineare l’impotenza e la sottomissione dei dieci protagonisti alla nenia stessa e all’assassino, che conosce le loro vite e le loro storie.
“Tre soldatini allo zoo vollero andar: uno l’orso ne brancò, e due soli ne restar.”
L’atmosfera iniziale, apparentemente placida ed idilliaca che, poi si rivelerà soffocante e micidiale, diviene ancor più pesante quando i protagonisti si rendono conto che l’assassino è uno di loro.
Sospetti ed intrighi si insinuano nelle menti dei “superstiti” che ormai non si fidano più gli uni degli altri. Dubbio e diffidenza si intrufolano nelle parole e nelle azioni dei personaggi come un serpente a sonagli, che avverte la preda tramite il rumore della coda (la filastrocca) prima di mordere letalmente la sua prossima vittima.
“I due soldatini stanno al sole per un po’: un si fuse come cera e uno solo ne restò.”
Colpi di scena eclatanti e tradimenti arricchiscono la rappresentazione che si surriscalda sempre più, lasciando il pubblico sulle spine e sull’altolà. La curiosità sulla vera identità dell’assassino e la suspence creata dal ritmo incalzante dello spettacolo, entusiasma lo spettatore coinvolto dalla narrazione, fino alla consumazione della tragedia.
La scenografia (direzione tecnica di Stefano Orsini, luci di Stefano Lattavo, costumi di Adele Bagilli e scene di Alessandro Chiti), che alterna luci, ombre ed effetti speciali, segue, con efficacia, lo svolgersi della vicenda.
Lo spettacolo è attraversato dall’inizio alla fine da un’atmosfera gotica: la tetra scenografia costituita dalla villa e dall’isola, la tempesta che infuria, l’ossessionante filastrocca che preannuncia l’arrivo della morte, l’attesa del tragico destino che incombe sui personaggi simboleggiata dalle statuine dei “soldatini”. Dopo tutto ciò, nella scena finale, l’assassino si rivela spiegando e motivando il come e il perché ha dato atto a questa carneficina con un monologo che fa riflettere sui limiti della giustizia umana e sul senso e valore della vita.
Ed infatti l’assassino è…
“Solo, il soldatino in un bosco se ne andò: ad un pino s’impiccò, e nessuno ne restò”