Duelli in scena al Quirino fino al 6 marzo

“La gloria più grande è quella conquistata con l’onore; e quale metodo migliore di un leggendario duello? Un duello che poi diverrà una persecuzione, una dipendenza di cui avrai più bisogno dell’aria che respiri. Un duello in cui capirai che il tuo avversario non esiste, ma anzi, molto peggio: sei tu stesso.”
Questo è il tema centrale che Josef Teodor Konrad Korzeniowski (Joseph Conrad), uno dei più grandi autori europei del primo Novecento, affronta nel suo celeberrimo “The Duel”. Conrad, un polacco, racconta, in inglese, una sorprendente storia francese di epoca napoleonica.
L’opera è in scena al teatro Quirino in Roma dal 23 febbraio al 6 marzo 2016, presentata da Federica Vincenti per Goldenart Production, con la partecipazione di Alessio Boni e Marcello Prayer.
I due protagonisti (entrambi ufficiali della Grande Armèe di Napoleone Bonaparte), per motivi banalissimi al punto di rasentare il ridicolo, inanellano sfide a duello che li accompagnano lungo le rispettive carriere, senza che nessuno sappia il perchè di questo odio profondo. Momenti drammatici e tragici si alternano a situazioni ridicole e patetiche, che sfiorano l’assurdo.
Gli splendidi costumi curati da Francesco Esposito e le meravigliose musiche di Luca D’Alberto (eseguite in modo sublime dalla violoncellista Federica Vecchio) si innestano perfettamente con le fantastiche scene di Massimo Troncanetti (scenografie dinamiche) e le luci del light designer Giuseppe Filipponio.
Nello spettacolo si evidenzia, attraverso i duelli curati dal maestro d’armi Renzo Musumeci Greco, la contrapposizione fra i protagonisti: dove l’uno (Feraud) è spietato, feroce, patriottico e fanatico ma determinato, l’altro (D’Hubert) è freddo, approfittatore, affascinante ma posato. L’antitesi fra i due è sottolineata in ogni situazione e in ogni loro incontro, dal primo all’ultimo duello (con spettacolari effetti speciali quali nebbia artificiale, gioco di ombre e luci, combattimenti al rallentatore), passando per la magnifica invettiva-narrazione della famosa marcia di Napoleone fino in Russia.
I protagonisti appaiono come due facce della stessa medaglia, diversi ma complementari; li unisce un legame talmente forte e saldo per cui l’uno non può vivere senza l’altro e dove il principio degli “opposti che si attraggono” è rispettato rasentando l’assurdo. Un susseguirsi di sfide ed insulti ridicoli accompagnati da una danza armoniosa e spettacolare, fra sciabole e “destrieri” in cui sono in gioco l’onore e i principi degli antichi codici cavallereschi.
In realtà il primo livello di lettura va ad avvilupparsi all’interno della vera trama che stupisce lo spettatore: un Feraud che è la metà oscura di D’Hubert, quella parte che riemerge ogni volta che abbassa la guardia e che scopre un desiderio vietato che non può negarsi, come un duello, sebbene proibito da Napoleone; uno scontro violento ed inevitabile, desiderato, in cui il suo vero avversario non esiste perchè, in realtà, è egli stesso.
Ancor più significativo e sorprendente, reso denso ed entusiasmante dalla scenografia e dalla regia di Roberto Aldorasi, è l’ultimo duello che, diversamente dagli altri, avviene con l’uso delle pistole al posto delle spade. Infatti, l’autore, Conrad, vive in un’epoca – il primo Novecento – in cui l’introduzione delle armi da fuoco a ripetizione ed il grande potere degli industriali nella gestione dei profitti di guerra buttarono all’aria antiche regole (l’etica militare) e reso smisurati gli eccidi sui campi da battaglia (dove fondamentali sono i numeri e la vittoria è vittoria senza gloria e le ricchezze sono conseguite senza onore); dove le strategie e le statistiche militari subentrano alle emozioni e alla passione dei duelli e al rispetto del codice d’onore. Dove i duelli stessi non sono altro che, per dirla con Napoleone, “inutili contese”.