La vita può davvero essere una Parallax

È un lavoro importante Parallax di Kornél Mundruczó, regista ungherese di cinema e teatro classe 1975, per la prima volta ospite al Piccolo Teatro di Milano Dal 13 al 15 marzo 2025 . Il testo è firmato dalla sceneggiatrice Kata Wéber.
Fa riflettere attraverso lo sguardo di tre generazioni sul tema dell’identità che a cascata ne racchiude molti altri che sembrano acquistare valenze diverse a seconda del punto di osservazione. Proprio come Parallax ovvero la Parallasse, che consiste nell’impatto che ha il cambiamento della posizione dell’osservatore sull’osservazione e percezione di un oggetto che sembra spostarsi pur restando immobile.
Il grande palco del Piccolo è diviso in tre sezioni. Quelle di destra e sinistra sono occupate da grandi schermi verticali. Al centro è racchiusa la scena che però è velata.
Ciò che si svolge al suo interno appare visibile solo sui due schermi.
Dove vediamo una donna anziana, poco curata, con capelli bianchi e disordinati, vestita appena decentemente. Si muove all’interno della sua spaziosa cucina, leggendo vecchie carte e inseguita o inseguendo pensieri roboanti. Ne percepiamo il rumore spettrale grazie alla musica ansiogena di sottofondo. Poi entra la figlia, un po’ trafelata.
Si capisce allora che c’è una nonna ungherese, sua figlia e il suo giovane nipote. C’è in realtà anche una quarta generazione non presente in scena. Quella della mamma della nonna. Una bellissima ebrea dai fantastici occhi blu.
Ed è quel blu, così inspiegabile e innaturale per un ebreo, almeno per il dottore ariano di Auschwitz, “l’igienista razziale” Mengele, a salvarla da una morte immediata. Lei, che nasconde nel suo grembo una vita, arriva a concepirla sul piazzale dell’appello del campo di sterminio.
Dunque la nonna è nata li, in quel luogo di morte, ed è cresciuta mangiando lombrichi.
Parallax: da adulta, inseguita dal ricordo delle persecuzioni ha voluto cancellare la sua identità ebrea falsificando i suoi documenti.
Ed ora la figlia cerca proprio un documento che attesti invece la loro origine ebraica per garantire a suo figlio, dunque al nipote, una scuola ed un assegno a Berlino, dove intende trasferirsi. Lamenta con dolore il suo essere stata figlia di una madre “sopravvissuta”, che le ha inculcato solo odio e diffidenza privandola di abbracci, calore e vita.
E poi c’è il figlio. È per lui che finalmente la scena si apre dopo che l’appartamento è stato allagato e la mamma completamente bagnata. L’acqua che scende violentemente dal soffitto ricorda più una sorta di disinfezione necessaria alla distruzione di germi patogeni prima di accedere ad un’altra fase. Come quelle raccontate da Primo Levi.
Cessano allora i filmati e lo vediamo dal vero nella cucina della nonna. É tornato a Bucarest per organizzare il suo funerale ebraico all’interno del ghetto.
Ma tutto gli è estraneo. Cerca allora di riempire il vuoto organizzando un’orgia collettiva con uomini e coca.
Deve infatti confrontarsi con la sua nuova identità omosessuale molto osteggiata in Ungheria. Le scene orgiastiche esplicite non hanno nulla di provocatorio. E per questo non disturbano, anche se forse avrebbero potuto essere ridotte. Mostrano proprio quel vuoto che accade a chi ha perso molto di sé, del proprio passato e si sente come una pianta innestata.
La memoria collettiva del trauma, non gli appartiene più. Essa infatti non contribuisce nè a creare l’identità individuale, nè a conservare quella collettiva, nè tantomeno a dare un senso di valore.
Non è la mia storia quella della Shoah! Così dirà alla madre impietrita dal dolore nel trovarlo ancora sotto effetti di stupefacenti in quella casa a soqquadro che custodisce però la memoria collettiva del trauma che persiste al di là della vita della nonna. Ma quanto pesano i condizionamenti identitari ereditati? Quando sono ostacoli e quando privilegi?
Kornél Mundruczó nasce in Ungheria nel 1975. È regista per la scena e il grande schermo. Affiancato da un gruppo stabile di interpreti e collaboratori creativi, nel 2009 fonda la compagnia teatrale indipendente Proton Theatre. Il suo primo film in lingua inglese, Pieces of a Woman è stato presentato alla 77a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia nel 2020 . Nel 2024 riceve il Nestroy Prize come miglior regista per Parallax.
Parallax
PARALLAX
testo scritto da Kata Wéber, comprendendo anche le improvvisazioni della compagnia
regia Kornél Mundruczó
con Lili Monori, Emőke Kiss-Végh, Erik Major, Roland Rába, Sándor Zsótér, Csaba Molnár, Soma Boronkay
scene Monika Pormale
costumi Melinda Domán
luci András Éltető
collaborazione artistica e producer Dóra Büki
dramaturg Soma Boronkay, Stefanie Carp
musica Asher Goldschmidt
coreografia Csaba Molnár
produzione Proton Theatre
in coproduzione con Wiener Festwochen | Freie Republik Wien, Odéon-Théâtre de l’Europe,
Comédie de Genève, Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, HAU Hebbel am Ufer,
Athens Epidaurus Festival, Festival d’Automne à Paris, Maillon Théâtre de Strasbourg – Scène européenne, International Summer Festival Kampnagel – Hamburg, CNDO Orléans, La Bâtie – Festival de Genève
con il supporto di Gábor Bojár e dott.ssa Zsuzsanna Zanker, 220volt, Számlázz.hu,
Minorities Talents & Casting, Danubius Hotels