Lucrezia Borgia: la sfrontatezza che non l’ha mai abbandonata.

Lucrezia Borgia è uno dei titoli donizettiani mai totalmente usciti dal repertorio. Soltanto negli scorsi decenni la Donizetti Renaissance ha riportato all’attenzione alcuni suoi lavori, tra cui spicca la trilogia Tudor. Che ci affascina da sempre. Ma forse proprio la riemersione dall’oblio della tanto amata Anna Bolena, Roberto Devereux e Maria Stuarda ha spinto nell’ombra Lucrezia Borgia, ultimo tassello di un trittico dedicato ad un’altra casata, gli Este, iniziato con Parisina e proseguito con Torquato Tasso.
Mentre un tempo la Lucrezia tornava all’Opera di Roma in media ogni quindici o vent’anni, questa volta vi torna dopo ben quarantacinque anni dalla precedente edizione, quando la protagonista fu Joan Sutherland, che era nell’ultimo decennio della sua carriera ma restava sempre “la stupenda” (si può ascoltarla su Youtube).
Questo anche alla scelta artistica fatta in estate, dedicare l’opera soprattutto alla figura femminile.

Un grande successo
Lo strepitoso successo tributato a questa nuova produzione di Lucrezia Borgia dal pubblico che riempiva il Costanzi, dimostra che quest’opera può avere ancora una grande e immediata presa sul pubblico, grazie alla forza drammatica che conosce pochi momenti di calo di tensione, superando di slancio il rischio di essere sopraffatta da una vicenda contorta, lambiccata e totalmente incredibile. Si potrebbe pensare che questa volta Felice Romani abbia combinato un bel pastrocchio ma in realtà non ha fatto che adeguarsi come poteva alla scelleratezza amorosa di Victor Hugo, autore del dramma da cui è ricavato il libretto. Sono proprio il gusto per l’esagerato, le distorsioni grottesche, le assurdità della trama e tutto il restante armamentario del romanticismo esasperato di Hugo a dare all’opera donizettiana una presa sul pubblico che non subisce cali di attenzione.
È la direzione di Roberto Abbado a dare a questa serie di situazioni, vicende e personaggi disparati una traiettoria unitaria, che segue il contorto percorso del dramma senza sbandare mai in superflue lungaggini e senza mai permettere che la tensione teatrale abbia un calo. Ormai è assodato che Abbado sia un rodato ed affidabilissimo esperto del melodramma italiano dei primi decenni dell’Ottocento, da cui forse agli inizi della sua carriera non si sentiva particolarmente attratto, perché i suoi interessi andavano a musiche più complesse, con particolare attenzione alla contemporaneità.
Dalla sua esperienza in ambito moderno e contemporaneo porta nel melodramma ottocentesco il rifiuto della routine e della connessa approssimazione, l’esigenza della lettura attenta della partitura in ogni dettaglio, la precisione e il dominio assoluto dell’esecuzione anche nei passi più rischiosi, che nella Lucrezia non mancano. Rende così giustizia all’orchestra di Donizetti, che non è né deve essere uno scrigno di preziosità timbriche ma è un elemento essenziale del dramma, a cui proprio l’orchestra conferisce la varietà di atmosfere, l’urgenza drammatica, lo spessore e la profondità del ritratto dei vari personaggi.
La sua concertazione è egualmente attenta sia ai momenti apicali del dramma che a quelli apparentemente marginali, come le scene in cui i sei cortigiani intrecciano le loro voci, che Abbado calibra con la stessa precisione millimetrica che si può ottenere da un ensemble polifonico. A questo lavoro di raffinatezza e armonia realizzato con tempi piuttosto comodi, fanno da contraltare i momenti più convulsi, cui Abbado dà talvolta tempi rapidissimi, ma sempre tenendo saldamente in pugno buca e palcoscenico.
La cosa innovativa è che dramma e commedia sono fuse aprendo le porte al teatro d’opera che verrà, al Rigoletto.
Vittima e non carnefice, questa è una delle prime volte in cui si vede per cambiare il ruolo della donna.
La presenza della maschera è duale: tutti abbiamo qualcosa da nascondere ma nello stesso tempo protegge.
Un altro spettacolo al teatro Costanzi ha riempito la sala fino al 23 Febbraio mantenendo la promessa fatta in conferenza stampa questa estate presentando gli spettacoli, ovvero dare spazio ai Volti femminili.