Processo a Galileo, se la scienza sfocia in Hybris

Al Piccolo Teatro Strehler di Milano dal 10 al 15 gennaio 2023 va in scena Processo a Galileo, un denso spettacolo sulla scienza che lascia interrogativi insoluti.
La regia è di Andrea De Rosa e Carmelo Rifici. Dramaturg è Simona Gonella. Anche il testo è scritto a quattro mani, da Angela Dematté e Fabrizio Sinisi, ed indaga sulla luce che la scienza porta, ma anche sui suoi lati distruttivi.
Per farlo racconta tre storie che si intersecano tra loro confondendo, nella seconda parte, anche i piani temporali. Ne risulta uno spettacolo non omogeneo, dove i registri narrativi si diversificano.
Sul grande palco del Teatro Strehler, la scena è simile ad un’istallazione immobile e silenziosa illuminata da luci che talvolta nascondo più che illuminare.
Domina al centro un piccolo orto. Sulla destra un pianoforte, meccanismo generato dall’uomo secondo precise regole meccaniche eppure capace di produrre infinite combinazioni di bellezza. In fondo, sulla destra una lavagna che si riempirà di formule.
Lo spettacolo si apre con il processo a Galileo (1633) da parte dell’Inquisizione e la sua conseguente abiura. Il linguaggio è seicentesco mentre gli abiti hanno un che di atemporale.
Galileo è ritenuto colpevole, dannato in eterno per aver morso il frutto dall’albero della conoscenza che lo porta a seguire l’etica di verità sempre animata dal dubbio.
Il contrasto tra scienza e religione quindi, non è solo dato dal fatto che la teoria di Galileo strappando “il cielo di carta” dell’universo aristotelico con al centro la terra immobile e aprendo nuovi orizzonti, spazi di libertà, infrange la composizione del mondo conosciuto.
Processo a Galileo: è anche il dubbio a far paura alla Chiesa.
Essa infatti si fonda su dogmi irrefutabili, mentre per Galileo la scienza deve sempre rimettersi in discussione, cercare nuovi strumenti, come il cannocchiale. Inoltre invita ad aprire gli occhi, a leggere i passaggi matematici con cui l’universo è scritto. Pur considerandoli espressione del divino, aprendosi alla conoscenza dei meccanismi che regolano l’andamento del cielo, si apre anche a quelli che governano il funzionamento della società sulla terra, rischiando di mettere in discussione il Potere.
É sul rapporto tra scienza, potere, religione, tradizione e coscienza che si interroga una giovane ricercatrice. Deve infatti scrivere un articolo, ma non sa che direzione prendere. In scena dialoga con Galileo e con la madre che la invita ad aiutarla nell’orto, a toccare la terra che, insegnando a rispettare il ritmo delle stagioni, dell’universo, ci offre un’idea di limite.
C’è in questa figura arcaica di madre, un che di sacrale, una somiglianza con Cerere, divinità della terra, della sua prosperità, fertilità e nascita. Ma anche un richiamo alla celebre metafora di Candide “Il faut cultiver notre jardin” che suggerisce di lasciare i problemi metafisici lontani dalla vita e dedicarsi alla coltivazione dell’interiorità.
Processo a Galileo diventa un processo alla scienza perché gli scienziati che non hanno limite alla conoscenza, possono arrivare a distruggere l’uomo e il mondo.
La terza parte è una sorta di eruzione vulcanica, uno squarcio, un fulmine. Vediamo un giovane uomo che cerca di alzarsi da terra e ripiomba a terra, colpito, ferito, ucciso. Vuole opporsi alla scienza che privata della sua dimensione sacrale diventa Hybris. Essa ha in sé infatti il seme della distruzione, simile a quello dell’Ulisse dantesco.
É lui, che si oppone ai telai che nel 1779 in Inghilterra avrebbero sostituito schiere di operai, lui che nel 1898 scende nelle piazze di Milano disumana per un industrializzazione selvaggia ed è ucciso dai cannoni di Bava Beccaris. Era a Hiroscima, nelle miniere in Colorado, a Seattle, in Sud America. Muore al G8, mentre la macchina inventata dalla scienza avanza e cresce nella sua meccanica freddezza, nella sua meccanica indifferenza.
Processo Galileo
di Angela Dematté, Fabrizio Sinisi
dramaturg Simona Gonella
regia Andrea De Rosa, Carmelo Rifici
con Luca Lazzareschi, Milvia Marigliano
e con (in ordine alfabetico) Catherine Bertoni de Laet, Giovanni Drago, Roberta Ricciardi, Isacco Venturini
scene Daniele Spanò
costumi Margherita Baldoni
progetto sonoro GUP Alcaro
disegno luci Pasquale Mari
assistenti alla regia Ugo Fiore, Marcello Manzella
produzione LAC Lugano Arte e Cultura, TPE – Teatro Piemonte Europa, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale
in collaborazione con Associazione Santacristina Centro Teatrale
partner di ricerca Clinica Luganese Moncucco
Orari: martedì, giovedì e sabato, ore 19.30; mercoledì e venerdì, ore 20.30; domenica, ore 16.
Prezzi: platea 33 euro, balconata 26 euro
Informazioni e prenotazioni 02.21126116 – www.piccoloteatro.org