La speranza di un buco nel cielo di carta. Il Fu Mattia Pascal al Teatro Ghione

Un adattamento che sorprende, quello di Claudio Boccaccini che porta in scena Il fu Mattia Pascal al Teatro Ghione. Sorprende perché non dà nulla per scontato, a partire dalla storia (forse da tutti grosso modo conosciuta o già sentita) e per quel tocco di accentuata comicità in una storia pur sempre tragica.
La mescolanza di diletto e gravosità è forse il tratto più evidente di questo Mattia Pascal, la sua caratteristica più criticabile e più apprezzabile; come ogni storia veramente triste, riesce a far emergere momenti e attimi di riso e ilarità. E come ogni storia vera, è anche seria, piena di dramma e di domande. La vicenda di Mattia Pascal, se si va oltre la (originale e stimabile) inventiva pirandelliana della trama, è quella di un uomo alle prese con il mondo: amori e sentimenti, gelosie e ricatti, denaro e insuccessi, voglia di riscatto e desiderio di amicizia.
Così, di fronte alla possibilità di iniziare una nuova vita da zero, cambiando persino il proprio nome e diventando Adriano Meis, il protagonista si scontra con l’eccitazione della novità e la confusione del vagare umano, della ricerca di un fondamento che metta ciascuno nella possibilità di dire «io». In queste due lettere e nella loro dicibilità risiede tutta la domanda che sottende le opere pirandelliane e che fa da sfondo ad ogni particolare della resa teatrale di Boccaccini.
Se tutto si può cambiare, dai propri documenti al luogo in cui vivere, dai racconti sul proprio passato alle attese sui progetti e sulle persone, qualcosa sembra riemergere anche nel più totale stravolgimento: da una parte una struttura sociale e culturale che, lo si voglia o no, è presente in ogni luogo (tanto che Mattia Pascal dovrà rinunciare alla donna di cui si innamora perché non può sposarla, poiché non può rivelare la sua vera identità); dall’altra, molto più profondamente, emerge l’impossibilità di rinunciare al proprio desiderio, che sembra caratterizzare quella identità molto di più del proprio nome e cognome, del posto in cui si è nati. Questo desiderio di non essere nessuno ma di essere qualcuno per qualcuno; la pena di essere dimenticati e dimenticare, o che le cose stesse che si sono vissute cadano in un vuoto oblìo; il desiderio di essere conosciuti, amati e guardati per ciò che si è e non per i dati che compongono la vita, la personalità, la posizione culturale e sociale.
A questi desideri Mattia Pascal, come forse ogni uomo, non sa e non vuole rinunciare; eppur si trova a vederli contraddetti da una realtà che gli pare avversa, in cui non rintraccia un punto di unità, così che anche quando il suo progetto di cambiar vita è compiuto, si rende conto di essere «vivo per la morte e morto per la vita».
Gli innumerevoli temi pirandelliani della disgregazione dell’identità e delle maschere, della corruzione della società e della tendenza egoistica di una umanità ridotta, fanno da cornice alla domanda che ne Il Fu Mattia Pascal si fa spazio con forza: quel desiderio — prima descritto — di poter dire io di fronte a qualcuno. Il desiderio, in effetti, di un amico vero, di un bene verso chi si è. Il desiderio di un imprevisto che permanga e sorprenda perché è capace di ridare l’uomo a sé stesso; la presenza di un amore che non smette di attenderci, di un amico che ci venga a cercare qualora dovessimo sparire, perderci o distrarci, rompendo il muro di ghiaccio della resistenza e della solitudine. Perché «tutta la differenza, signor Meis, consiste in ciò: in un buco nel cielo di carta»: un buco capace di far passare qualcosa di vero, presente, che non finisce mai.
Il Fu Mattia Pascal
di Luigi Pirandello
Teatro Ghione
26 febbraio-3 marzo, ore 21:00
con Felice Della Corte, Titti Cerrone, Siddhartha Prestinari, Paolo Perinelli, Maurizio Greco, Marco Lupi, Livia Lucina Ferretti
regia di Claudio Boccaccini
adattamento a cura di Eleonora Di Fortunato e Claudio Boccaccini