È forse poco un attimo di felicità nella vita di un uomo? Le notti bianche di Dostoevskij al Teatro Ghione

Con l’esecuzione lucida e puntuale di Giorgio Marchesi e Camilla Diana, sotto la regia di Francesco Giuffrè, il Teatro Ghione di Roma inaugura il 2019 con uno spettacolo profondo, Le notti bianche di Dostoevskij.
Le notti bianche, Белые ночи, non sono (solo) quelle del sonno mancato, ma quelle che in Russia (nella Russia del nord) descrivono il periodo dell’anno in cui l’imbrunire arriva a tarda sera, fin dopo le 22:00.
Ed è in una di queste notti, bianca tanto per il sole che per il sonno, che il Sognatore di Dostoevskij incontra colei attraverso la quale incontrerà, forse per la prima volta, anche sé stesso. Nella cornice di un angolo di San Pietroburgo nascono le quattro notti che costituiscono la trama della pièce; in queste quattro notti prende vita, ancor più in fondo, la storia dei due protagonisti. Ma la consueta grandezza di Dostoevskij, ne Le notti bianche come in ogni opera, è di far emergere dalle ceneri e dai brandelli delle storie dei protagonisti la domanda sulla storia di ciascuno.
È così che le vicende del Sognatore e di Nasten’ka interpellano, senza lasciar spazio ad alcuna via di fuga, fragilità e speranze di ogni animo: la fragilità della solitudine e la speranza di un amore vero; la paura di una promessa forse non mantenuta e l’allegrezza per uno spiraglio di libertà e luce. Più di tutto, però, è l’attesa. Ogni monologo ed ogni dialogo esprime il senso di un’attesa strutturale, immancabile, che si esprime in modo distinto ed uguale tanto nel vortice di pensieri del Sognatore quanto nella concretezza, piena di restrizioni e limiti, di Nasten’ka.
Così ogni parola, ogni sguardo, ogni movimento sono carichi di quell’attesa. Che cosa attende questa smania, questo limite, quel pensiero incontenibile che sormonta persino la vita? È una solitudine strana, quella del Sognatore: già dal primo istante in cui si imbatte in Nasten’ka sembra che egli abbia passato tutta la vita in attesa di quell’incontro. Lui, che parla con un’ombra tanto da diventare egli stesso quasi un’ombra a sé e al mondo, vive tutta la vita e la vita del mondo solo dentro la sua propria testa, la sua immaginazione; il Sognatore, che parla di sé in terza persona per il timore di guardarsi, di dire «io», racconta di tutto e di ogni cosa, ma si ritiene incapace di rispondere alla semplice domanda: «qual è la tua storia?» «Io non ho una storia». Ma non v’è incapacità e limite, nella vita di un uomo, che impedisca l’accadere di un istante di verità, di bellezza; così nel volto di una giovane fanciulla sconosciuta il Sognatore si sente per la prima volta guardato, visto; conosce per la prima volta quella che da sempre è stata solo «la solita vita impalpabile».
Come si fa a palpare questa vita, a goderla, a toccarne ogni istante? Il grande tema dell’attesa è legato a doppio filo con il tema dell’amore: dell’amore che Nasten’ka vive e da cui si sente tradita; del tentativo di sostituire questo amore con la (ragionevole?) pretesa di qualcosa che sia più possibile, accessibile, reale. Ma cosa è davvero reale, ci si domanderà? È reale la possibilità di negare il proprio desiderio, il desiderio che la promessa che abbiamo ricevuto e che portiamo venga mantenuta? Nasten’ka, scandalizzata dall’amore che ella stessa prova per un uomo che riconosce essere cattivo, peggiore di colui che ha davanti (il Sognatore), si tormenta nel tentativo di dimenticare, di rimettere assieme i pezzi della propria vita scomposta. Ma cosa accadrebbe, cosa accade quando ciò che si desidera – infinitamente più grande del progetto che si vorrebbe seguire con la propria misera immaginazione – finalmente accade? in che direzione si muovono i propri piedi ed il proprio sguardo quando si è davanti a ciò che si ama, seppur in quello stesso punto vi sono (state) ferite e affanno?
Questo il Sognatore non può negarlo, perché un istante di realtà in cui si scopre chi si è e ciò che si desidera sarà sempre incommensurabile rispetto a qualsivoglia pensiero, analisi: «Sii benedetta per quell’attimo di beatitudine e di felicità che hai donato a un altro cuore, solo, riconoscente! Dio mio! Un minuto intero di felicità! È forse poco in tutta la vita di un uomo?»
Le notti bianche di Dostoevskij sono le notti bianche ed i giorni di ognuno. O almeno di ognuno che sia disposto ad intravedere la profondità del proprio anelito e desiderio.
Le notti bianche
di Fëdor Dostoevskij
Teatro Ghione
12-17 febbraio 2019, ore 21:00
con Giorgio Marchesi, Camilla Diana
Adattamento e regia Francesco Giuffrè