Rossi – Marquez, un capriccio non può uccidere la leggenda
Lo scontro Rossi-Marquez sta assumendo i connotati di uno di quei tormentoni facebookiani che destano attenzione o stizza, a seconda del punto di vista. Un episodio che ha scatenato reazioni più o meno di parte, più o meno veritiere, più o meno condivisibili. Tutti conoscono, hanno visto o hanno sentito parlare del teatrino malese andato in scena domenica, ma pochi, solo gli appassionati, sanno che esso rappresenta una pagina epocale nella storia quasi settantennale del motomondiale.
Provare a decretare torti e ragioni potrebbe rivelarsi un esercizio inutile. Capire la maggior portata dell’errore, tra reazione e provocazione, risulta vano. Le immagini, infatti, parlano chiaro: Marquez, fin dal terzo giro, corre contro Valentino. Per chi non ha mai visto una gara, se non quando costretto da amici o fidanzati, risulta difficile capirlo. Ma, c’è da crederci, viaggiare un secondo più lenti rispetto al solito, non sfruttare a pieno in rettilineo la maggior potenza della propria moto e, soprattutto, punzecchiare Rossi con sorpassi e controsorpassi al limite del contatto, facendogli perdere tempo prezioso dal rivale Lorenzo, è da bambini dispettosi, più che da piloti pluricampioni del mondo. Okay, le gare sono fatte di bagarre, ma non con il fine palese di distruggere un avversario, non in quel modo, non quando tu non hai nulla da perdere e il duellante sì e, soprattutto, non dopo pochi giri. Vero, Valentino nel corso della sua carriera ha spesso giocato al gatto col topo con i proprio rivali, da Gibernau a Biaggi, ma ha sempre tenuto ben presente il limite tra il rispetto e l’antisportività. Ha sempre parlato chiaro, denunciando comportamenti fuori dalle regole non scritte della lealtà. E lo ha fatto anche a Sepang, per carattere, senza pensare alle conseguenze, alla possibilità di innescare in Marquez un fuoco mefistofelico di vendetta più ardente della sua falsità. Quella che lo portava ad inneggiare ad una idolatria nei confronti di Rossi sgretolatasi come accadrà al suo ambizioso e irrealizzabile tentativo di imitarne la leggenda e, in un futuro, soffocarla sotto la sua. Perché se Vale è leggenda non lo deve solo alle vittorie, ma alla sua persona. E nulla macchia l’episodio di Sepang, checché ne dica la stampa spagnola. Ha solamente riconciliato per un attimo un mito con la realtà, perché reagire a certe provocazioni, per quanto sbagliato, è reale, umano, soprattutto con quella posta in palio. Non lo sarebbe restare impassibili. E rendere reali le leggende, capirne l’umanità, è proprio ciò che le avvicina a noi, alla gente comune. È proprio ciò che le rende immortali.