Scudetto Juve: Sarri vince senza convincere, ma non (solo) per colpa sua
La Juventus si cuce sulla maglia l’ennesimo scudetto. Una notizia che, ormai, non fa più notizia. Un traguardo minimo per chi da anni, seguendo programmazioni lungimiranti, punta all’obiettivo massimo: l’Europa. Ma cosa può esserci di scontato nel conquistare per nove anni di fila ciò che gli altri possono solo sognare?
Nove scudetti in nove anni, un’era calcistica. Nove scudetti tutti diversi tra di loro, ognuno connotato da una difficoltà crescente. Ogni anno a fare i conti con il fuoco motivazionale interno da tenere acceso. A spegnere la fame di rivali sempre più agguerrite, capaci di spingersi fino a un palmo dal piatto.
No, di scontato, nello scudetto bianconero di Maurizio Sarri, non può esserci proprio nulla.
Sarri: “Vincere e convincere”
Eppure, l’allenatore toscano non è riuscito a schivare le critiche.
Si è presentato a Torino dicendo di voler “vincere e convincere”. Una doppia ambizione che, seppur legittima, si è trasformata in causa petendi per chi gli rimprovera di aver fallito il secondo obiettivo.
Vincere lo scudetto al primo anno non è bastato. Ci si attendeva divertimento, un calcio veloce, propositivo. Come quello mostrato a Napoli e, in parte, al Chelsea. L’aspettativa era che, con i campioni bianconeri, gli uno-due venissero spontanei, le verticalizzazioni in automatico. Non è stato così. Non poteva esserlo subito, essendo, il suo, un calcio che richiede molta pratica; non lo è stato neanche dopo, quando mesi di allenamenti e partite ufficiali avrebbero dovuto modellare l’argilla. Nessun automatismo, pochi scambi veloci a centrocampo, pochissime verticalizzazioni, rarissimi inserimenti. Il lockdown, arrivato sul più bello, non può assurgere ad alibi.
Il “Sarrismo” non si sposa con i campioni bianconeri
Tutto vero, accuse giustificate. Ma una difesa d’ufficio non può non esser concessa a Sarri: la sua idea di calcio mal si sposa con i mostri sacri bianconeri.
A Napoli, il buon Maurizio era abituato ai “discepoli” Insigne, Mertens e Callejon, giocatori brevilinei adatti al fraseggio veloce. A Torino, ha trovato un Higuain di quattro anni più vecchio; Dybala, l’unico a fare al caso suo; Ronaldo, un fuoriclasse assoluto, ma non certo (o non più) un funambolo. Al posto di Jorginho ha allenato Pjanic, più bravo ad addormentare la partita che a creare velocemente fitte trame di gioco.
Sentenza che non ammette appello: non necessariamente un grande giocatore è un giocatore adatto al gioco di Maurizio Sarri.
Il “Sarrismo” è la concezione del gioco del calcio fondata sulla velocità e la propensione offensiva, recita il dizionario della lingua italiana. A centrocampo, fucina del gioco, quali sono i bianconeri che possono mostrare velocità e capacità di inserimento? Non certo Matuidi, ottimo interditore, ma dai piedi poco educati; men che meno Rabiot, che in carriera ha segnato con il contagocce. Sarebbero tornati utili gli inserimenti di Ramsey, se integro e in forma; o l’eterno infortunato Khedira, salvato dal taglio estivo proprio da Sarri. Resta Bentancur, ma solo quando in una sola stagione riuscirà a segnare il doppio dei gol in carriera (appena quattro), allora potremo considerarlo maturo.
Siamo proprio certi, dunque, che la colpa del mancato gioco di Sarri sia da imputare (solo) a Sarri?