I “fuggitivi” del wi-fi

Qualche tempo fa, mentre eravamo fermi in macchina a sbocconcellare una ciambella, veloce colazione prima di recarci all’ufficio postale, ci si avvicina un ragazzo di colore facendoci capire di aver fame e chiedendo moneta. Non avendo spiccioli, gli abbiamo dato la nostra ciambella. Poi, al ritorno, abbiamo trovato quella stessa ciambella buttata per terra.
D’accordo, non bisogna generalizzare. Forse quel ragazzo non poteva assorbire gli zuccheri. Ma l’episodio ci è tornato in mente quando abbiamo sentito l’altro fatto accaduto in Toscana, quello dei giovani immigrati ospitati in un rispettabile albergo, i quali hanno reclamato per la mancanza del collegamento wi-fi, del televisore, della promiscuità con donne sposate non compatibile con la loro religione, della lontananza dal mare e dal centro della città. Gli insoddisfatti sono stati subito accontentati e trasferiti in una struttura “più adeguata” ai loro bisogni di ordine culturale e logistico.
Informano comunque i responsabili di tali strutture che la maggior parte di questi emigrati, specie donne e bambini, si comportano in modo molto educato e grato verso gli ospitanti, mentre più riottosi si dimostrano i giovanissimi. E’ come se qualcuno ci ospitasse a casa sua per qualche giorno e noi ci mettessimo a criticare la stanza, il cibo e gli amici del padrone di casa.
Il fatto è che quegli stessi giovani provenivano da un centro di accoglienza in Sicilia, dotato di ogni confort e in Toscana sono rimasti… tanto delusi. Ecco, quel sentimento di pietas si trasforma in qualcosa d’altro quando il diritto a una dignitosa accoglienza si trasforma in eccessiva pretesa da parte di questi giovanissimi stranieri che sembra siano arrivati da noi già “sindacalizzati”, già tanto informati di alcuni diritti… e sobillati (da chi?). Però non sopportano alcuni sacrifici, come quello di percorrere qualche chilometro a piedi, troppo stancante per le loro scattanti gambe da cavalli arabi, loro abituati alle grandi distanze dei territori d’origine dove la calura è davvero insopportabile. Sono quelli di vent’anni e poco più, venuti con in mano un cellulare ( d’altronde necessario per coordinarsi fra di loro ), hanno fatto magari dissanguare i genitori per imbarcarsi verso un futuro migliore. Ma, partendo dal loro paese, sono del tutto ignari, disinformati delle problematiche del continente Europa. Guardano all’Italia come il primo passo verso la terra di Bengodi, attratti dalle supertecnologie e ansiosi di immergersi nelle nostre presunte rilassatezze.
Quelli dei “supermercati”
La vasta operazione che vede l’Italia in prima linea e l’Europa occupate nello smistamento della enorme massa immigratoria, trova noi cittadini lontani dalle coste coinvolte negli sbarchi a fare da spettatori, ma osservatori di quanto ormai da anni ci manifesta il passaggio degli extracomunitari nel nostro tessuto metropolitano.
Nostro osservatorio privilegiato e quasi quotidiano è quello dei supermercati. Assai di recente, mentre sistemiamo la spesa nel portabagagli fuori da uno di questi templi del consumo, veniamo avvicinati da un giovanissimo nigeriano. E’ arrivato anche lui col barcone, ma si spiega in maniera confusa con qualche frase di cattivo inglese o francese. Viene da Udine, dove aveva un lavoro e attende di ritornarvi, non abbiamo capito bene il come e il perché. Chiede in modo piuttosto timido soldi, ma soldi non gliene diamo senza che se li sia guadagnati.
Più in là, appoggiato all’uscita del supermercato, un altro di colore ma di circa quarant’anni, espressione navigata e piuttosto torva che ci ricorda i neri appostati agli angoli di Notting Hill a Londra, ci osserva mentre sistemiamo la nostra spesa. Incrociamo per un istante i nostri sguardi. Il nostro fuggevole pensiero è: “ E’ senz’altro un clandestino, uno che ne avrà passate di cotte e di crude ”. E’ sempre la nostra pietas da femminino materno. Il suo pensiero sembra di contro essere: “ Guarda come se la passano bene questi italiani e quanto mangiano….”. Un veloce, muto e mutuo scambio non verbale.
Al supermercato c’è però l’aiutante fisso, quello che viene dallo Shri-Lanka, che laggiù lascia moglie e figli per un “ lavoro di tutto prestigio” ereditato dal connazionale che lo precedeva, tornato al suo paese dopo uno… stage di almeno un anno, col suo tesoretto italiano. Il cingalese può entrare e uscire dal supermercato, conosce ormai il suo mestiere, ti sistema la spesa nelle buste con la bravura di una casalinga, i surgelati nella busta frigo, il tutto per 1 euro dalla cassa fino alla macchina. I clandestini sudafricani lo rispettano, e lui rispetta loro, sanno quali sono i rispettivi confini territoriali. La gente, se proprio serve, chiama il cingalese, di lui si fida. E i nuovi restano fuori, fantasmi dei tempi, figli di nessuno, sagome da tappezzeria a reggere i muri del supermercato.
In questa torre di Babele immigratoria, ci sono da fare alcuni distinguo, i rifugiati che chiedono asilo e clandestini allo sbaraglio. Quanti di questi ultimi riescono a fuggire dai controlli e quanti vengono lasciati fuggire sparpagliandosi in tutto il territorio?
La Merkel ce l’ha detto chiaro e tondo, “controlli, controlli e controlli” per evitare infiltrazioni pericolose. E’ triste parlare di essere umani come numeri, ma vediamo se le “quote di assegnazione” per ogni Paese funzioneranno, sperando che non funzionino come le quote “rosa”.
Angela Grazia Arcuri
Roma, 14 maggio 2015