PIF: il giovane “ammodo” invitato all’Accademia dei Lincei

ROMA – Gli hanno affibbiato un nomignolo talmente buffo che di primo acchito fa venire in mente il pifferaio magico della favola dei fratelli Grimm. E sicuramente Pif sa trascinarsi dietro le simpatie di tutti, poiché in epoca di omologazione dell’immagine e di un certo tipo di comunicazione verbale lui rimane uguale a se stesso, non copia. Forse è troppo pigro anche per copiare.
Pif, al secolo Piefrancesco Diliberto, è nato a Palermo 43 anni fa, padre regista televisivo, madre insegnante, con una discendenza familiare dallo scultore danese Thorvaldsen, vissuto in Italia tra il 1789 e il 1838. Lo scultore non si sposò mai, ma ebbe un’unica figlia naturale, legittimata, la quale dette inizio alla lunga discendenza che va dalla Sicilia fino agli Stati Uniti. Quindi , una commistione di dna dalla quale spesso vengono fuori esemplari di razza particolare, come lo è Pif. Quel soprannome gli fu appioppato da Marco Berry de Le Iene che a chiamarlo Pierfrancesco ci metteva troppo. Fu quella trasmissione a farcelo conoscere, poi divenuto assai popolare come Il Testimone di MTV. Seguono le sue “anteprime” d’autore al Sanremo 2014, colto a volo dalla Tim, di cui è ora testimonial con quei suoi discorsetti nostalgici e accattivanti.
Autore, scrittore, regista, nel 2013 ha firmato il suo primo film “La mafia uccide solo d’estate”. La regia l’ha imparata fin da bambino da suo padre e da ragazzo, finito il liceo, se ne andò a Londra a frequentare dei corsi di Media Practice, quindi fu assistente di Marco Tullio Giordana nel film “ I cento passi”.
Non si atteggia, non porta i capelli lunghi, sembra uscito fuori dall’oratorio di una parrocchia di cinquant’anni fa. Insomma, la figura del bravo ragazzo, all’apparenza sprovveduto, che sembra essere trascinato a forza da qualcuno per essere intervistato. L’incedere verbale ti lascia a interrogarti da quale regione italiana provenga, se non sai subito che è un palermitano doc. Ma lui non arrotonda la “erre”, mentre si sente in certe “o” aperte. Gli occhi ce l’ha chiari, il taglio languido, su quel celestino che può diventare paglierino a seconda del tempo. Dinoccolato, col gilet scamiciato di lana, la divisa che più gli appartiene, lui non teme di apparire il giovane ammodino, ma vogliamo essere cattivi a pensare che lo faccia apposta per restare fedele al suo personaggio un po’ demodé, l’ultimo dei romantici, lo studente a vita fuori corso. Sul lavoro, non si mette i cappucci neri di lana alla foggia dei pastori sardi, quelli li lascia ai ragazzotti ventenni coi capelli crespi e le treccine etniche. Casomai si poggia in testa un buffo cappelletto bianco che lo rende proprio Pif, da pifferetto giocherellone, lo gnometto che va scovando in giro le magagne col suo obiettivo curioso.
L’ ha chiamato addirittura la prestigiosa Accademia dei Lincei il 26 febbraio prossimo a Roma in Via della Lungara 10, per una conferenza. Sembra strano che un’istituzione tanto seriosa possa occuparsi di Pif. Strano un piffero! Non a caso, il suo fondatore Federico Cesi scelse come stemma la Lince e l’occhio lungo dell’Accademia le impone di affacciarsi sui tempi che corrono, sui fenomeni di costume sociale del nostro secolo . Così Pif poggerà il suo lato B dietro quella cattedra dove hanno posto le terga i più illustri personaggi dei secoli passati fino ad oggi. Con tutta evidenza Pif fa cultura, anche se lui non si pone in cattedra, non vuole insegnare niente, ma è il suo atteggiamento interiore che conta.
Pif Diliberto rappresenta un punto di collegamento tra il nuovo e il vecchio, quel modus vivendi che, ora, sembra opportuno rivalutare nella disgregazione dei tempi. Lui riesce a fare audience, non col birignao intellettualoide ma col sorriso aperto, gioviale, che non vuole sottintesi di sorta. Gli seccherebbe molto, confessa, che gli stampassero addosso l’immagine dell’intellettuale, lui che a scuola era una frana, voti assai scarsi, che scelse il liceo scientifico per pigrizia solo per seguire i suoi compagni di medie che quasi in blocco si erano iscritti allo scientifico.
Pigro, flemmatico, indolente, amerebbe l’esistenza steso su un divano. Lamenta infatti un’incipiente pancetta. Ma in fondo pancia è bello per un uomo, come vanta la cultura maschilista che critica invece la pancia della donna. In coppia da anni con la giornalista Giulia Innocenzi, che dice di non prenderlo sul serio, si dichiara fedelissimo ( forse per pigrizia?), anche se le donne gli corrono dietro. Non fuma, non beve, si annoia dappertutto e l’unico posto dove vorrebbe vivere è Londra. Pif non è poi così facile come vuol far sembrare. L’intelligenza sorniona è la sua vigile compagna nell’irrequietezza della noia.
Spera di non diventare come quei personaggi che, alla richiesta di un’intervista, rispondono : “Parla col mio agente ”. Non sia mai, paventa. Anche quando riceve chiamate di cui non conosce il numero, sulle prime tentenna a rispondere, ma alla fine, curioso di sapere chi è, risponde! E mal gliene incoglie, perché poi verrà rincorso allo sfinimento da qualche esordiente giornalista di qualche emergente radio privata. E lui non sa dire di no perché ha il buon cuore dei siciliani e non dimentica la sua gavetta.
Pif rischia di diventare un prodotto dei tempi, sul quale tuffarsi secondo il vento che tira. Ma noi gli auguriamo di restare Pierfrancesco Diliberto, perché è quello che ci piace, dietro il Pif.
Angela Grazia Arcuri
17 febbraio 2015