Il dolore e la sua impossibilità di scontrarsi con l’esperienza umana

Il dolore viaggia nelle famiglie finché qualcuno è pronto a sentirlo per molti di noi la nostra maledizione generazionale è l’evitamento.
Veniamo da persone che fingono che non sia mai successo, ma il dolore esige di essere sentito e prima o poi nascerà un bambino il cui compito è sentire tutto. Questi sono i vostri sciamani, guaritrici, guaritori, sacerdoti e sacerdotesse ma li chiamate pazienti psichiatrici etichettandoli come: depressi, bipolari, borderline o simili, sono loro che nascono con il potere di sentire e come sappiamo non si guarisce dal dolore che si rifiuta di provare.
La storia del dolore è lunga quanto quella dell’umanità. Forse precedente. Sono state formulate molte teorie sperimentali, ma a oggi nessuna offre una spiegazione esaustiva.
Concetti quali dolore e sofferenza sono stati di volta in volta reinterpretati, anche il loro rapporto reciproco ha vissuto dinamiche turbolente. Da posizioni olistiche, in cui dolore e sofferenza rappresentano due aspetti integrati e riconosciuti, a posizioni riduzionistiche medicalizzate, basate sulla esclusiva visione “nocicettiva” o psicologizzate, basate sull’esclusiva dinamica della “conversione”. La storia del binomio dolore-sofferenza andrebbe declinata nello spazio e nel tempo dell’evoluzione culturale.

Eppure, il dolore è un’esperienza così connaturata all’essere umano che si sarebbe dovuta sviluppare una visione univoca della sua natura già da molto tempo. Ironicamente, sembra che più si tenti di definirne i confini eziologici e clinici, più il dolore tenda a offrire aspetti oscuri e non codificabili.
Onnipresente nella storia dell’umanità il dolore come l’amore appaiono, imprescindibili ed inevitabili da incontrare in quella che è l’esperienza umana. Assai differente è la sua interpretazione a seconda della civiltà in cui esso si manifesta.
Nella cultura asiatica spesso è visto come sbilanciamento, in quelle occidentali come punizioni divine in quelle tribali si incolpano gli spiriti maligni.
Che sia fisico o morale il dolore ha solo il dolore come argomento e giudicarne la sua soggettività è come muovere quel famoso elefante nella cristalleria.
Nel pensiero antico il dolore era visto come qualcosa di naturale (di fatale), effetto della disarmonia degli elementi che mettono in pericolo la vita (Platone) o come ciò che contrasta con la felicità (Aristotele).
Il Discorso sull’indole del piacere e del dolore di Pietro Verri è un significativo contributo a un dibattito, che non ha confini temporali o geografici, da parte di un nostro connazionale. Cos’è il dolore? E il piacere? Prendendo a modello di ricerca empirica l’Encyclopédie, raccolta di interventi di vari intellettuali sotto la direzione di Denis Diderot e Jean-Baptiste Le Rond d’Alembert, Verri cerca di dare una risposta, che non sarà tuttavia universale bensì subordinata alla soggettività umana che è al centro della questione, a tali quesiti. Questi interrogativi sono connessi alla sfera sensoriale del dolore e del piacere fisici, che trova la sua sublimazione nella sensibilità dell’anima. Nei testi sacri non vi è il raggiungimento della felicità senza il dolore. Il nuovo testamento – la parte in cui vi è la nascita del figlio di Dio sulla terra- è assolutamente dominata dall’evento della via crucis, flagellazione, e poi morte di Cristo. Il vecchio testamento costellato invece da atrocità, cataclismi atti barbarici e fratricidi. In molte delle tragedie greche sono messe in atto disperazioni e miserie dell’animo umano, il teatro shakespeariano poi è la tragedia in tutta la sua purezza.
Nella filosofia epicurea si divide il dolore in due tipi: quello sordo, con cui si convive, e quello acuto, che passa in fretta. Se invece il dolore è grave, si ritorna al problema della morte; se non lo è, è effimero. Quindi evitabile a meno che non si tratti della perdita della vita. Nei “Dolori del giovane Werther “si parla invece dei tormenti e le sofferenze amorose di un giovane borghese – il ventenne Werther – per la bella Charlotte, già promessa sposa ad un altro uomo. E secondo molti studi di psicologia i dolori d’amore provati con turbolenza in età giovanile sono tra i più acuti.

Il dolore è comunque stato- oltre quello fisico- sempre un qualcosa con cui ci si è voluti misurare nella vita. In effetti con l’assenza di esso non c’è evoluzione né scientifica né sentimentale. Nonostante gli anestetizzati rendendo difficile il lavoro di tutti.
La materia “dolore”, come quella dell’“amore”, potrebbe non esaurirsi mai. Viaggia nelle onde dei secoli tra eventi e cambiamenti non cambiando mai la sua profondità.
“La storia del dolore” di Vittorino Andreoli, o “L’antropologia del dolore” di David le Breton; sono testi assolutamente adeguati esaustivi e ricchi per l’approfondimento del tema. Trattando il dolore sia fisico che mentale.
“Il dolore è presente ogni giorno nel corpo di ciascuno di noi, e di esso sappiamo poche cose soltanto. Evidentemente, il dolore è un fenomeno in sé del tutto soggettivo, che l’osservatore esterno non riesce ad afferrare. Tuttavia, la medicina stessa lo ha forse studiato, come è solita fare con le cose morte, procedendo troppo esclusivamente per autopsie e sezioni microscopiche. Tra l’idea che ci costruiamo del dolore e la realtà rimane pertanto ancora inesplorata l’intera zona, sita ai margini, degli apporti di ciò che è individuale”
R. Lerique.
“Il dolore è un’esperienza forzata e violenta dei limiti della condizione umana. È una figura aliena e divorante che non lascia requie con la sua incessante tortura. Paralizza l’attività del pensiero e l’esercizio della vita. Pesa sul gioco del desiderio, sul legame sociale. Altera il senso della durata e colonizza i fatti più importanti della giornata, trasformando la persona in uno spettatore distaccato che fa fatica a interessarsi all’essenziale.”
David le Breton.