Che fine ha fatto la politica?

Sabato 15 marzo Piazza del Popolo si è riempita di manifestanti chiamati a invocare un rinvigorimento dell’Unione Europea, in un amore comunitario riscoperto forse pretestuosamente in occasione del tema del riarmo e del conflitto russo-ucraino.
La piazza romana, composta dagli acerrimi nemici del nazionalismo, si è riscoperta continentalista, o almeno europeista, con illustri esponenti dell’abbattimento delle frontiere che, in una grande allucinazione collettiva, ci ricordavano dal palco quanto “noi europei” – ma mai “noi italiani” – fossimo più bravi, più belli, più intelligenti e più acculturati degli altri.
L’esito fausto della manifestazione però dovrebbe farci amaramente riflettere su un tema che trascenda il nostro concordare o meno con le opinioni in essa espresse, e cioè: la politica è ancora in grado di parlare alle masse? E chi è che oggi effettivamente “fa politica”?
Manifestazione Piazza del Popolo
Il dubbio sorge spontaneo poiché la gremita manifestazione di Piazza del Popolo è stata convocata da quello che è apparso quasi un “capriccio” di Michele Serra, giornalista di Repubblica, il quale aveva espresso in un suo pezzo la volontà di riconoscersi in un movimento europeista di stampo quasi federale in questa situazione di crisi internazionale, ed è stato accontentato con una sorta di risposta politica su misura. “Mi è sembrato che ci fosse un grande senso di solitudine e di smarrimento dell’opinione pubblica europea che si chiede: l’Europa dov’è?” ha detto il giornalista, ed eccolo servito, 50 mila persone – riporta lui, ma si sa, l’occhio del padrone ingrassa il cavallo – pronte a far sentire la propria volontà, pur con non poche divergenze tra loro.
La richiesta popolare di un’Europa più forte e centrale ha visto la quasi totalità delle forze politiche di opposizione aderire all’evento, salvo il Movimento 5 Stelle che in termini di politica estera ha sempre trasceso le possibilità umane di ambiguità: fa riflettere allora il perché nessuno di questi partiti abbia saputo convocare in prima battuta la manifestazione, in quanto forse troppo impegnati a dividersi su temi che in realtà poco interessano al popolo, e che però li distraggono dal fare il loro lavoro.
Quanto accaduto in quest’occasione si inserisce in un discorso molto più ampio, un discorso che passa per la politica del leader che soppianta la politica dei partiti sul territorio, per le liste bloccate, per il senso di casta che restituiscono i parlamentari ai loro elettori – che per inciso sarebbero i loro datori di lavoro – e ancora per gli scandali di corruzione, le questioni morali, le promesse tradite, gli inciuci, le liste civiche e chi più ne ha più ne metta: ma allora, oggi, la politica può ancora considerarsi tale?
Che senso ha una forza politica incapace di organizzare una manifestazione di ampio respiro in cui condividere la propria prospettiva del mondo? Che senso hanno i partiti che aspirano a governare, tracciando la rotta futura del Paese, se si riducono a meri esecutori di battaglie altrui?
Da anni ormai vediamo le forze politiche fare i conti con la loro sopravvivenza prima che con quella della nazione, sempre pronte ad agire stringendo in mano i sondaggi come un rosario, come per la piazza di sabato, in cui qualcuno non voleva andare, qualcuno è andato ma non voleva, qualcuno ha detto dal palco cose diverse da quelle che ha votato all’Europarlamento e così via, con il fine ultimo – e per molti unico – di sfruttare la possibilità di guadagnare un qualche decimo nelle proiezioni, anche a costo di tradire tutte le sue idee, e così, magari, nelle prossime elezioni, salvare il proprio posto sulle poltrone già dimezzate.
La sinistra – in senso ampio – sembra ormai schiava dei sindacati sul tema dei lavoratori, avendo interamente scelto di accodarsi alle manifestazioni di questi come se autonomamente fosse totalmente incapace di intendere e di volere; la destra troppo spesso rimane ambiguamente succube dei ProVita nelle sue battaglie politiche, terrorizzata dallo scontentare una sua affezionata fetta di elettorato: verrebbe allora proprio da dire “anche l’Europa di giornalisti e cantanti non ci voleva”.
Elly Schlein
Elly Schlein, leader – si fa per dire – del Partito Democratico, sembra il perfetto esempio del dramma politico che stiamo vivendo: una settimana di incertezze, quella prima della manifestazione, vissuta nel dubbio amletico “andare o non andare”? Scontentare la frangia più riformista o quella più – eufemisticamente – di sinistra?
E così, sfregando i sondaggi come fossero la lampada del genio, è sembrato opportuno scendere nella piazza di Calenda, Scurati, Bisio, Jovanotti e molti altri, tutti diversi tra loro, per il gusto d’intestarsi una battaglia mai combattuta in prima linea, e per curare una FOMO che non andrebbe ricercata solo sui più giovani.
Dopo comici votati alla politica, politici votati alla comicità, sindacalisti capi dell’opposizione, giornalisti politici e politicizzati, conduttori televisivi leader di movimenti da qualche 0 virgola, e ora anche manifestazioni convocate con gli annunci sul giornale del tipo “AAA cercasi”, l’elettorato sembra sia stato già sufficientemente mortificato e avvilito.
Nell’attesa utopica del ritorno di una politica che, fatta con partiti seri, organizzati e radicati sui territori, sappia dare ascolto e voce alle istanze della gente, basterebbe perlomeno regredire in prima battuta alla politica dei leader, comunque deprecabile per i più puri, ma almeno fatta da esponenti con una certa caratura e un certo peso, in grado di proporre una visione del mondo e intercettare consensi senza dover supplicare voti – pochi – per grazia ricevuta da personaggi dello spettacolo o del giornalismo che siano.