Una stagione che volge al termine: il tramonto della cultura woke

L’ideologia “woke” rivolge lo sguardo alle ingiustizie sociali, economiche e culturali, mirando alla consapevolezza e all’inclusività. Si tratta di un termine puramente legato alla comunità afroamericana, coniato negli anni Trenta per la rivendicazione dei diritti civili. Un’espressione che inizialmente non aveva una grande rilevanza, un’importanza che è stata conquistata solo negli anni Sessanta, quando il “rimanere svegli” (woke) aveva l’obiettivo di debellare il razzismo sistemico.
Il concetto di “woke” guadagna terreno con i primi movimenti per i diritti civili negli Stati Uniti, dove figure e personaggi, come Martin Luther King Jr. e Malcom X, rappresentavano proprio questa stessa consapevolezza, quel principio che è alla base del movimento “Black lives matter”, ovvero “le vite dei neri contano”.
Una cultura che inizialmente voleva una società più giusta, ma che si è scontrata inevitabilmente con una società più complessa: quella dei social. Tra “politicamente corretto”, questioni di genere sollevate dal movimento LGBTQIA+ e ambientalismo, la woke diventa sempre più intollerante verso i dissensi, un’aggressività rivolta in qualche modo alla stessa normalità.
Toccata e fuga, l’inevitabile crisi dell’ideologia woke
Ha spalancato le porte e si è affermata velocemente, la stagione woke, intesa come “cancel culture” e “politicamente corretto”, lascia spazio al valore della normalità; non si tratta di abbandonare l’inclusività, ma di riscoprire la conformità.
Una constatazione che risulta evidente dallo stesso Sanremo 2025, che ha visto esibizioni diverse dai precedenti anni, differenti nei messaggi, nei testi e nelle virtù. Una stagione che non ha posto al centro del palco le discriminazioni come nel 2019, dove con la vittoria di Mahomood era evidente l’appello ai soldi, ai padri assenti e all’emarginazione di coloro che sono italiani ma non vengono trattati come tali. Vi era il desiderio di portare avanti la cultura woke, di elogiare la fluidità negli amori, nel modo di vestire e di sentire, tutti concetti che sembravano essere premiati solo perché rispondevano ai canoni della politica dell’identità progressista.
Un qualcosa a cui ogni azienda aspirava: schierarsi per tutelare e riscattare le minoranze sembrava essere l’unica via per avere credibilità e potere. Ad oggi vi è un cambio di rotta, zero politica e meno inclusione, si parla di sentimenti, di riscoperta dell’uomo, dove il Fedez con le unghie smaltate rimane solo un ricordo e il Tony Effe, che fino a qualche anno fa non sarebbe mai stato ammesso sul palco di Sanremo per i testi sessisti, in apertura al Festival. Canzoni egoriferite, che rivendicano lo stereotipo dell’uomo italico e i suoi valori.

Sanremo è solo un esempio di come la società stia man mano abbandonando la cultura woke, di come gli obiettivi di diversità e inclusione stiano venendo meno anche in realtà molto più grandi come quella della Disney, che non contestualizzerà più opere storiche che non sembrano essere totalmente allineate con l’ideale del politicamente corretto, o Amazon che ha cancellato i programmi di inclusione proprio alla vigilia della seconda elezione di Donald Trump. Non si vuole eliminare la protezione delle minoranze, ma non viene più considerata un’azione imperativa, non è agendo così che le aziende conquistano terreno, d’altronde la cultura woke ha origini americane ed oggi è proprio lo stesso Elon Musk a cercare di combatterla.
Wokness culture: una distruzione nel paese natale
L’amministrazione Trump si sta impegnando nello smantellamento della Wokness culture all’interno degli Stati Uniti, ovvero il paese in cui questa stessa ideologia ha preso vita. Si tratta di un’operazione che non mira ad ottenere dei risultati economici, ma puramente culturali e sociali. La decadenza del fenomeno woke non è attribuita, però, al secondo mandato di Trump, dato che è proprio durante la sua prima elezione che la Wokness ha subito un’intensa accelerazione, piuttosto perché si tratta di un portento che procede ad intermittenza.

Inizialmente si volevano abbattere delle barriere sociali, creare nuovi standard e combattere ogni tipo di disuguaglianza, canoni che questa stessa ideologia ha poi identificato come insostenibili.
È sempre più evidente quanto il wokismo ormai sia in declino, portando via con sé sia cose positive, come il riconoscimento dell’esistenza dell’emarginazione ed esclusione delle minoranze, che negative, come la stessa censura. Ci sono desideri e barriere, aspirazioni e limiti. Forse la cultura woke si sta solo addormentando per l’incapacità mostrata nel bilanciare pluralismo e coscienza con estremismo e critica, uno squilibrio che ha condotto all’affermazione di diverse tensioni e insidie.
Una crisi che ancora non ha visto la sua totale fine, un’ideologia che potrebbe risvegliarsi se il concetto di uguaglianza e rispetto non subisse costanti distorsioni.