E se per l’Unione europea l’asse del male fosse rappresentato dagli Stati Uniti d’America del Ty(ranno)coon Trump?

It’s Showtrump quello avvenuto nella conferenza di Mar a lago dove il presidente eletto degli Stati Uniti ha voluto fare il punto a meno di venti giorni dal suo insediamento alla Casa Bianca. Sono passati poco più di due mesi dall’elezione a Presidente degli Stati Uniti d’America, è già il focoso Trump ha preso il posto del “pacifista” Trump sebbene durante l’intera campagna elettorale avevo professato alla perfezione il dettato della dottrina Monroe tanto cara ai repubblicani, ovvero “Non inizierò nuove guerre anzi fermerò quelle attualmente in atto e mi concentrerò sull’economia interna per far tornare l’America great again”.
E invece, il two-face Trump a pochi giorni dal suo insediamento, nella prima conferenza stampa dell’anno nuovo a Mar-a-Lago, non risparmia nessuno, a partire dalla ridenominazione del golfo del Messico in golfo dell’America fino a ridisegnare la cartina geopolitica degli Stati Uniti d’America con “l’annessione” del 51 stato, il Canada. In un’ora di “propaganda stampa” il presidente pigliatutto ha dichiarato che per gli Stati Uniti la sua presidenza “sarà una nuova età dell’oro” delineando nuove strategie, economico-geopolitiche, che il Tycoon ha dichiarato di voler portare avanti nei prossimi quattro anni di presidenza.
The Donald, nella sua propaganda stampa, ha detto di voler cambiare nome al Golfo del Messico, rendendolo il “Golfo d’ America”; di voler introdurre sanzioni severe agli scambi con Messico e Canada; ha ventilato la possibilità che il Canada diventi il “51esimo Stato degli Stati Uniti”, minacciando di usare la forza militare contro Ottawa; ha dichiarato di scatenare “l’inferno” se Hamas non rilascerà gli ostaggi prima del suo insediamento del prossimo 20 gennaio ed infine non ha escluso la possibilità di utilizzare la forza militare per riprendere il Canale di Panama e per costringere la Danimarca a vendere la Groenlandia agli Stati Uniti. Insomma, un puro ShowTrump che stante alle dichiarazioni stampa non risparmierebbe nessuno, nemmeno l’Unione europea e i paesi NATO, che ricordiamo dovrebbero essere gli alleati privilegiati di Washington nello scacchiere internazionale, minacciati rispettivamente di dazi sulle importazioni se non aumenteranno la quota di acquisto di gas liquido made in USA e di raggiungere almeno il 5% del PIL per le spese riguardanti la difesa e gli armamenti, pura follia considerato che molti paesi europei, tra cui l’Italia, visto i problemi strutturali del loro debito pubblico non riescono nemmeno a raggiungere il minimo del 2% attuale.
Panama e Groenlandia, obiettivi strategici o solo propaganda?
Secondo il presidente eletto, Panama e la Groenlandia sono due territori, infatti, “strategici per la sicurezza degli Stati Uniti”. Tuttavia, ci si chiede come mai, gli interessi degli Stati Uniti sono ora così forti su questi territori?
Per il Tycoon “Il Canale di Panama è vitale per il nostro Paese e per il controllo delle rotte commerciali, oltrettutto, la Cina sta operando in questi ultimi anni una politica di soft power sul governo panamense per aumentare la sua influenza sul controllo del canale” questo perché dal 2017 la Repubblica popolare cinese ha avviato una serie di negoziazioni commerciali con Panama per il controllo di due dei cinque porti adiacenti al Canale, nell’ambito degli investimenti e progetti infrastrutturali della Belt and Road Initiative. Il Paese centroamericano è stato il primo dell’America Latina a aderire al progetto infrastrutturale cinese e in questi anni l’interscambio della regione con Pechino è esploso, passando da 14 miliardi di dollari nel 2000 a 500 miliardi di dollari nel 2022.
Tramite la Hutchison Ports Holdings, conglomerato multinazionale nato nel 2015 dalla fusione di Cheung Kong Holdings Limited con la Hutchison Whampoa Limited, Pechino, indirettamente, tramite la sua quota in Panama Ports Company (PPC), gestisce il porto panamense a Balboa, situato sul lato Pacifico della Repubblica di Panama, e quello a Cristobal, che affaccia sull’Atlantico.
Nel 2021 la Hutchison ha firmato il rinnovo della concessione di 25 anni con la Panama Maritime Authority, l’autorità panamense per la gestione delle infrastrutture portuali, un bel regalo se si considera che il 46% del traffico commerciale navale tra l’Asia settentrionale e la costa orientale degli Stati Uniti, è affidata quindi a un colosso del settore, che seppur formalmente privato, è molto vicina al regime di Pechino.
Per queste motivazioni Trump nella sua conferenza stampa ha ribadito la sua volontà di puntare alla riconquista del Canale di Panama con tutti gli strumenti possibili. Che siano queste le prime avvisaglie di un sempre più latente “conflitto” tra Stati Uniti e Cina, che oramai, oltre Taiwan, iniziano a fronteggiarsi su diversi scenari geopolitici?
Ma Trump non si è fermato a Panama e alla tutela degli interessi Statunitensi nel canale scontrandosi con Pechino, ha voluto rilanciare, questa volta scontrandosi con la Danimarca, e sullo sfondo con l’Unione europea, per la tutela degli interessi Statunitensi nella regione della Groenlandia.
In questo caso lo scenario di un possibile conflitto tra Stati Uniti e Danimarca è ancora più incredibile visto che la Danimarca non solo è un Paese membro dell’Unione europea, ma è anche un paese NATO, e quindi, formalmente alleato degli Stati Uniti. Le rivendicazioni del Tycoon sull’isola, che formalmente è considerata autonoma ma, tuttavia, permane a tutti gli effetti territorio danese, sono da rintracciarsi nella futura navigabilità del mare del Nord, visto che le calotte glaciali della Groenlandia stanno perdendo 270 miliardi di tonnellate di acqua all’anno e il ghiaccio marino artico sta scomparendo così rapidamente che il mare polare potrebbe essere libero dai ghiacci entro l’estate del 2030.
Questo scongelamento apre nuove possibilità per l’estrazione di risorse, rotte commerciali più veloci, basi spaziali e militari, nuove zone di pesca e scontri tra grandi potenze. Mosca e Pechino si stanno già muovendo per esercitare il controllo sulla regione artica, per questo motivo Trump non vuole perdere ulteriore tempo e sta iniziando a forzare la mano con i suoi “futuri ex alleati”.
La premier danese, Mette Frederiksen, alle provocazioni e alle minacce di dazi finanche all’uso della forza militare da parte dell’alleato statunitense, ha prontamente ribadito che “La Groenlandia non è in vendita”. Certo,la situazione tra l’isola e la Danimarca non è certo rosea, tra colpe storiche dello stato scandinavo verso le comunità inuit, che rappresentano oltre l’80% della popolazione locale, e le spinte verso un referendum sull’indipendenza sono sempre dietro l’angolo, tuttavia, l’isola riceve dalla Danimarca sussidi pari a 500 milioni di euro l’anno e, all’indomani delle esternazioni di Trump il ministro della Difesa danese ha annunciato di aumentare la spesa militare nella regione artica.
Non solo Danimarca, ma tutta l’Unione europea e i paesi NATO sono nel mirino di Donald
Quello che è certo in tutta la narrazione trumpiana è che per il Tycoon non esistono alleati, ma, a seconda degli interessi americani, in un’ottica di pragmatismo estremo, esistono unicamente interlocutori complementari agli interessi statunitensi.
In quest’ottica, pertanto, il rapporto con l’Unione europea e con i paesi UE, aderenti anche alla NATO, sta incontrando notevoli difficoltà relazionali. Il presidente ha ribadito che i membri dell’Unione, appartenenti alla NATO, devono alzare la quota del loro PIL per le spese militari al 5% denunciando che “Molti non pagano, la Germania, per esempio, ha dato meno dell’uno per cento. Beh, penso che la quota della Nato debba essere del 5%”.
Con la Presidente della commissione europea Von der Leyen alle prese con una grave polmonite che la sta tenendo fuori gioco, è spettato agli Stati membri più importanti dell’Unione, Germania e Francia, muoversi con fermezza contro le dichiarazioni di The Donald. Critiche esplicite all’amministrazione Trump sono state mosse dal ministro degli Esteri francese, Jean-Noel Barrot, nel corso di una recente intervista, seguite all’unisono dalle critiche del cancelliere Olaf Scholz.
«La Groenlandia è un territorio dell’Unione europea», ed ancora «È fuori discussione che l’Ue possa lasciare altre nazioni del mondo, qualunque esse siano, prendere di mira le proprie frontiere sovrane» questi gli interventi di Parigi e di Berlino che di fatto ribadiscono il principio inviolabile delle frontiere e dei territori dell’Unione.
In questo clima esacerbato dalla sua propaganda permanente, sorge spontaneo domandarsi se e quanto gli Stati Uniti d’America continueranno a rappresentare la patria della democrazia moderna o se invece con il vulcanico Donald, la democrazia a stelle e strisce stia iniziando a percorrere pericolosamente strade e dialettiche dai tratti autoritari?