Nel nome del Padre. Quando il segno della croce diventa ostentazione di religiosità

In un Paese dalle radici democratiche, il dettato della nostra meravigliosa carta costituzionale ci regala quanto di meglio il cittadino desidera, la libertà di pensiero e di azione. Come usare questa nostra preziosa prerogativa, meglio lasciarlo ai filosofi di turno.
E poiché l’Italia è per la quasi totalità di confessione cristiana, ci avvaliamo fin da bambini di una serie di usanze e di gesti di valenza religiosa, in realtà dei veri e propri condizionamenti, come quello di farci il segno della croce, che molto spesso possiede un mero valore apotropaico, vale a dire di sapore scaramantico. Ciò accade, ad esempio, prima di partecipare a una gara sportiva o prima di un esame scolastico e in tutti quelle altre occasioni di vita a livello personale.
Quando invece il gesto diventa un “atout”, una risorsa strumentale da parte di certi personaggi nel corso di un pubblico evento allo scopo di accattivarsi le simpatie della gente, allora il discorso può offrire lo spunto a qualche legittima nota polemica.
Ben conosciamo gli eroi di questo anomalo Sanremo 2021. E, per quanto ci informano tutte le cronache, l’ammontare dei loro cachet è stato dell’ordine di migliaia di euro a testa a seconda delle loro prestazioni.
Quali e quanti segni di croce si saranno visti nel corso della settimana sanremese non ci è dato saperlo. Anche perché, pur amando la musica, abbiamo cercato altre emozioni televisive rientrando in quel basso indice di ascolto riscontrato quest’anno dal … Festivalle. Vero è che musica, sport e spettacolo rappresentano un sicuro sfogo all’economia in grande affanno, ma è anche vero che l’ostentazione di quel segno di croce appare piuttosto “patetica” in un momento di passaggio politico assai delicato che vede il Paese raggomitolarsi su se stesso.
E’ così facile farsi i conti in tasca con un segno di croce o sbaciucchiando una medaglietta, mentre chiudono le fabbriche, mentre aumenta la criminalità, laddove signore e signori di una interscambiabile “intellighentia” nostrana si rimpolpano le guance e le labbra col botox alla ricerca di formule alternative di governo, blaterando i loro sermoncini triti e ritriti in un’Italia sempre più disastrata dall’assalto delle varianti virologiche.
La linea dragoniana risveglia in noi quell’antico sentimento europeistico, perché siamo e ci sentiamo da sempre figli di questo antico e glorioso continente . E non dispiace ritrovarci assistiti da un apparato militare di tutto punto, capeggiato dal Gen. Francesco Paolo Figliuolo che, ad onta del suo cognome, avrà ben altri problemi che farsi il segno della croce contando ad uno ad uno il suo simbolico ” esercito di terracotta”.