Colera, vaiolo, peste, spagnola, Covid-19: le grandi pandemie dell’umanità

Paul Ferdinand Gachet, il medico amico di Van Gogh, nel 1854 quando era ancora uno studente di medicina, offrì volontariamente il suo aiuto ai malati di un’epidemia di colera diffusasi nei dipartimenti francesi dell’Aube e dello Jura. Gachet contrasse la malattia ma guarì e la stessa diventò il soggetto del suo dipinto “Scène du choléra. Souvenir de l’épidémie de 1854 dans le Jura”, eseguito nel 1890 e conservato al Musée d’Orsay di Parigi.
Le epidemie di colera diffuse in Francia nel 1832 e nel 1854 causarono la morte di circa 140.000 persone, che sotto il rapidissimo decadimento fisico, la disidratazione e la mancanza di ossigeno nel sangue, morirono con la pelle diventata blu. Nel modesto dipinto del dottor Gachet, il corpo irrigidito del defunto, adagiato su un letto in un ambiente disadorno, è coperto da una veste blu, lo stesso colore del viso e dei piedi nudi.
Le pandemie nella storia
Più antico del colera è il vaiolo che sembra aver colpito la popolazione umana già nel II millennio a.C. Ne fu vittima anche il faraone Ramses V sulla cui mummia furono rinvenute le pustole dell’eruzione cutanea. Con il vaiolo nasce la storia delle vaccinazioni per sconfiggere le malattie infettive.
Il vaccino contro il vaiolo fu scoperto in Inghilterra dal medico Edward Jenner alla fine del Settecento, quando il medico inglese prelevò dalla pustola di una donna malata del materiale purulento e lo iniettò nel braccio di un bambino di otto anni, al quale dopo alcuni mesi fu inoculato del pus vaioloso umano che, come previsto, non attecchì. Erano nate le vaccinazioni e le immunità.
Anche quella della peste è una storia millenaria poiché colpiva l’uomo già nell’età dei metalli. Analizzando il DNA estratto dai denti di uomini deceduti tra il V e il IV millennio a.C. in un vasto territorio dalla Siberia all’Armenia, in alcuni è stato identificato il batterio responsabile della peste. Una delle pandemie più terribili della storia fu quella della Peste Nera che dall’Asia arrivò in Europa nel 1347. In quell’anno i Tartari assediarono Caffa, colonia genovese nella penisola di Crimea, e diedero il via a una guerra batteriologica legando i cadaveri infetti alle catapulte e lanciandoli all’interno delle mura. Alcune navi genovesi riuscirono a salpare e a raggiungere la Sicilia ma i marinai già contagiati diffusero il morbo appena sbarcati: Messina, Genova e Venezia furono le prime città a esserne colpite.
La peste nera a Venezia dimezzò la popolazione, la quale cercò di curarsi con mezzi bizzarri dovuti al terrore e all’ignoranza; si praticava il salasso applicando le sanguisughe sul corpo ma, trattandosi di un rimedio molto costoso, chi non poteva permetterselo si tagliava le vene per far drenare il sangue. Un’altra cura disgustosa consisteva nell’aprire i linfonodi sotto le ascelle o all’inguine per poi applicare sulle ferite un miscuglio di resine, radici ed escrementi umani. Anche fare il bagno nell’urina non infetta due volte al giorno era convinzione alleviasse i sintomi dolorosi della malattia.
Il medico per visitare gli appestati si copriva con una tonaca nera lunga fino ai piedi, indossava scarpe, guanti, occhiali, cappello e una maschera con un becco prominente dove erano inserite lavanda, timo, menta, canfora, chiodi garofano, aglio, che mescolati con aceto e paglia fungevano da filtro. I notai, chiamati in casa dai moribondi, redigevano i testamenti sulla strada ascoltando le ultime volontà dettate dalle finestre.

Epidemie di peste nera oggi non sono più possibili, ma il batterio della Yersinia Pestis è ancora endemico in alcuni stati tra i quali la Mongolia, il Madagascar, il Congo e alcune zone rurali degli Stati Uniti. Alla fine dell’anno scorso è stato diagnosticato un caso in Mongolia, il paziente ha contratto la malattia dopo essersi cibato di carni di lepre selvatica. Sempre in Mongolia, pochi mesi prima erano morte due persone di peste bubbonica causata da una prolungata siccità che aveva prodotto un’invasione di topi e grandi numeri di mammiferi infettati.
Le pandemie del Novecento
La pandemia più pericolosa del secolo scorso fu la Spagnola del 1918, che in un anno e mezzo contagiò un terzo della popolazione mondiale causando la morte di cinquanta milioni di persone o forse più. La grande diffusione del virus fu accelerata dallo spostamento delle truppe della Grande Guerra ma la stampa, a causa della severa censura sulle epidemie, non poté darne notizia; solo nella neutrale Spagna i giornali ne parlarono per primi, tanto che la malattia fu detta Spagnola.
Nel 1957 scoppiò l’influenza Asiatica di origine aviaria, un virus diverso da quelli fino allora conosciuti ma per il quale la scoperta del vaccino fu veloce, non prima però che morissero due milioni di contagiati. La mutazione del virus causò dieci anni dopo l’influenza di Hong Kong, la terza pandemia del ventesimo secolo che in Francia, nel solo mese di dicembre del 1969, uccise venticinquemila persone, in totale in Italia i morti furono ventimila e cinquantamila negli Stati Uniti.
La penultima volta che l’Organizzazione Mondiale della Sanità usò il termine pandemia fu nel 2009 per la diffusione dell’influenza suina originata in Messico in prossimità di un allevamento su scala industriale di circa un milione di maiali. Si trattò della prima pandemia del ventunesimo secolo nella quale il paziente zero aveva solo quattro anni. La contagiosità si manifestò subito alta ma fortunatamente la mortalità si mantenne bassa. Per contener il virus, il Messico decretò le stesse norme di sicurezza oggi in corso nel mondo per la pandemia del Covid 19: confini, aeroporti, scuole, musei, esercizi pubblici chiusi. La pandemia del Covid 19 scoppiata tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020 nella città cinese di Wuhan e poi diffusasi in tutti i continenti ha causato ad oggi più di 300.000 morti nel mondo.
