Storia di un murales

Nel giugno del 1989 uno sconosciuto ragazzo della Pennsylvania arrivò a Pisa con l’intento di dipingervi un grande murales. L’idea era nata dall’incontro a New York tra il graffitaro americano Keith Haring e il pisano Piergiorgio Castellani, allora studente e poi autore con Roberta Cecchi del libro “Keith Haring a Pisa. Cronaca di un murales”.
L’approvazione non fu semplice, all’epoca Keith, pur essendo uno dei protagonisti del panorama artistico newyorkese, in Italia non si era ancora scrollata di dosso la nomea d’imbratta-muri, ma frate Luciano ebbe fiducia in lui e gli assegnò la facciata esterna del cortile del convento di Sant’Antonio Abate. L’opera, distribuita su 180 metri quadrati, fu realizzata in una febbrile settimana di lavoro sotto l’occhio incuriosito e perplesso dei pisani richiamati dall’eco di quella straordinaria performance.
“Tuttomondo” il titolo, la pace universale il tema. Proponendo il suo inconfondibile stile di sagome schematiche ed essenziali, volutamente povere come ideogrammi tribali e rigorosamente bidimensionali, Haring ha disegnato sulla superficie trenta figure umane e animalesche incastrate come in un puzzle monumentale. Ne è sortita una rappresentazione affollata, dinamica e cromaticamente vivace nella quale fantasmi inconsistenti, ma non immobili, si librano nello spazio senza alcuna gravità in un flusso d’immagini ossessive ma inebrianti.
Quest’abbraccio di tutti gli uomini di qualsiasi colore e lingua, dipinto da un gay sul muro di un convento, aiutato da occasionali passanti, ragazzi volontari, cittadini entusiasti, che aggregò il parroco lungimirante, l’assessore combattivo, la ditta Caparol che fornì i ponteggi, i colori e gli artigiani in aiuto, non è forse il miglior esempio del superamento di ogni pregiudizio? Non è forse una dimostrazione reale di un concetto pacifista concretizzato e non solo lanciato nell’etere?
Cinzia Albertoni
27 aprile 2015