L’industria che diventa comunità: il pensiero sociale di Adriano Olivetti

Uomo e mito
“Il termine utopia è la maniera più comoda per liquidare quello che non si ha voglia, capacità o coraggio di fare. Un sogno sembra un sogno fino a quando non si comincia da qualche parte, solo allora diventa un proposito, cioè qualcosa di infinitamente più grande”.
Eppure, c’è chi non se l’è sentita di definire utopistiche le idee di Adriano Olivetti.
Scrisse il filosofo austriaco Martin Buber: “Olivetti non è stato affatto un utopista. Le sue idee erano del tutto topiche, cioè connesse alla realtà del qui e ora”.
Nato sulla Collina di Monte Navale, l’11 aprile 1901, nei pressi della città di Ivrea, Adriano Olivetti è stato una figura di spicco dell’Italia della prima metà del Novecento.
Figlio di Camillo Olivetti, imprenditore di origine ebraica convertito al cristianesimo unitariano, ha lasciato un’indelebile eredità nel mondo dell’industria e della cultura.
E fu Camillo, nel 1908, a fondare a Ivrea la prima fabbrica di macchine da scrivere.
La macchina da scrivere Olivetti si distingueva per la sua qualità e l’attenzione ai dettagli.
Tuttavia, strutturalmente, l’azienda presentava alcune criticità legate al processo produttivo.
Adriano, dopo un periodo di apprendistato in fabbrica come operaio, parte per gli Stati Uniti ed entra in contatto con l’innovazione e le idee introdotte da Henry Ford negli stabilimenti di Detroit.
Una volta rientrato ad Ivrea, prende le redini dell’azienda e nel 1926 la produzione raddoppia.
Utopia e Comunità
Olivetti è passato alla storia grazie alla sua grande utopia.
Visionario e anticonformista, dopo aver fatto visita a centocinque fabbriche in sei mesi negli Stati Uniti, comprende che il lavoro in serie rappresenta una minaccia per il benessere degli operai: il progresso deve passare per i dipendenti.
“Mio padre mi mandò a lavorare in un reparto di trapani quando avevo tredici anni. Ho faticato molto a lavorare in fabbrica, perché il lavoro di queste macchine non mi attraeva e la mia mente vagava. Era una specie di ritegno, avevo difficoltà a capire come si potesse stare diverse ore sulla stessa macchina, senza imprigionare lo spirito”.
Convinto del legame tra ignoranza ed alienazione del lavoratore, Olivetti intuisce la necessità di un processo di umanizzazione della fabbrica e investe sulla cultura dei propri lavoratori.
Garantisce assistenza sanitaria a tutti i suoi dipendenti, assegni di maternità alle operaie, organizza proiezioni cinematografiche e incontri con filosofi e scrittori.
Olivetti si definisce socialista liberale e, nel secondo dopoguerra, amplia il suo impegno nell’editoria: sotto la sua guida una piccola casa editrice fondata anni prima con alcuni amici, la Nei (Nuove Edizioni Ivrea), si evolve nelle Edizioni di Comunità, con l’obiettivo di diffondere opere che spaziano dalla filosofia alla sociologia, fino all’economia.
Il cuore del pensiero politico e sociale di Olivetti è la Comunità, intesa come la cellula primaria dello Stato.
Se da un lato, per l’imprenditore illuminato, una comunità troppo piccola rischia di prediligere isolamento e perdita di autonomia dell’individuo, dall’altro, le grandi metropoli frammentano i legami sociali, privando l’individuo di punti di riferimento stabili e lo lasciano esposto a dinamiche fuori dal suo controllo.
Per Olivetti, la dimensione ottimale per garantire benessere ed equilibrio si colloca nella città di media grandezza.
La Comunità ideale non può che essere concreta e tangibile, coordinabile, e che promuova attività economiche, culturali e sociali: una Comunità ben organizzata consente agli individui di realizzarsi pienamente, liberandone il potenziale.
E la realizzazione di questo modello sociale non può non passare dal luogo di lavoro: la fabbrica, che non è più solo centro di produzione, ma spazio di aggregazione e crescita collettiva.
Comunità diventa il nome del movimento politico e culturale che Olivetti fonda nel 1947 e con il quale vince le elezioni amministrative, nove anni dopo, diventando sindaco di Ivrea.
Dopo due anni ottenne anche due seggi in Parlamento, candidandosi con il Movimento Comunità.
Internazionalizzazione e Meridione
Durante la prima permanenza di Adriano negli Stati Uniti, la Olivetti non disponeva delle risorse necessarie per entrare nel mercato americano.
Nel 1948 si presenta l’occasione giusta: la Divisumana 14 riscuote grande successo e l’azienda decide di costituire una sua consociata con sede a New York: nel 1950, nasce la Olivetti Corporation of America.
Nel 1953 Olivetti apre una fabbrica di macchine da scrivere e calcolatrici a Pozzuoli, con l’intento di creare posti di lavoro nel Meridione, con salari sopra la media e assistenza alle famiglie dei lavoratori.
È l’architetto napoletano Luigi Cosenza ad occuparsi della realizzazione del progetto architettonico.
«Di fronte al golfo più singolare del mondo, questa fabbrica si è elevata, nell’idea dell’architetto, in rispetto della bellezza dei luoghi e affinché la bellezza fosse di conforto nel lavoro di ogni giorno. La fabbrica fu quindi concepita alla misura dell’uomo, perché questi trovasse nel suo ordinato posto di lavoro uno strumento di riscatto e non un congegno di sofferenza.»
Commentava nel 1955 Adriano Olivetti, da sempre appassionato alle opere dei grandi architetti.
L’urbanistica, per l’imprenditore di Ivrea, deve creare un ambiente esteticamente elevato e dispositivi che aggreghino la comunità.
Esempio e insegnamento
Adriano Olivetti resta un’eredità preziosa
La sua utopia di un’industria a misura d’uomo e di una comunità fondata sulla cultura e sull’integrazione sociale continuano ad ispirare con straordinaria attualità.
In una recente intervista, Beniamino de’ Liguori Carino, Segretario Generale della Fondazione Olivetti, ha dichiarato: “Degli incontri che ho avuto con Olivetti la cosa che mi ha sempre colpito è stata questa lotta che lui sembrava condurre contro una lonelycrowd che lui sentiva dentro di sé e intorno a sé e per me Olivetti è l’esempio di quell’uomo nuovo che dovrebbe nascere in questo Paese se in questo Paese ci fosse ancora qualcosa da salvare”.