Leoncavallo, storia DEL centro sociale

E’ il 1975, l’anno di fondazione della Microsoft, la “gallina dalle uova d’oro” di Bill Gates, l’anno della fine della guerra in Vietnam, l’anno del delitto Pasolini. Milano, come l’intera Italia, è nel pieno tumulto degli anni di piombo. E’ un anno cupo, un anno tragico, tinto di rosso sangue. E’ il 18 Ottobre e, per le strade del capoluogo lombardo, bagnate dalla pioggia, sfila un corteo di circa 400 persone. Sono attivisti e militanti extraparlamentari. Sono diretti a Via Leoncavallo 22, quartiere Casoretto. Forzano il lucchetto di una fabbrica farmaceutica ormai dismessa. La occupano.
Nasce così il Leoncavallo, lo storico centro sociale comunemente noto in quanto archetipo degli stessi che, ad oggi, è sull’orlo dell’ennesimo sgombero.
ANARCHIA E LIBERTA’ SONO LE PAROLE D’ORDINE
Il Leonka si ispira alla stagione passata alla cronaca italiana come “autunno caldo”, fatto di lotte nei quartieri contro le gabbie salariali, di scioperi e di occupazioni. C’era l’illusione di partire con il cambiare un quartiere per arrivare a cambiare il Mondo. La politica era attiva ed i giovani altrettanto, poiché ne avevano la percezione complessiva. Erano fiduciosi, irrequieti e, a tratti, presuntuosi. Erano stanchi di essere impotenti di fronte alle trame dello Stato e all’invasione sociale dell’ottica della fabbrica. Cercavano sostegno reciproco e supporto altrui. Portavano avanti una sorta di controcultura che permetterà loro, tramite il sostegno sociale, di muoversi liberamente nel panorama dell’autogestione, almeno inizialmente.
Nel primo volantino distribuito dal comitato di occupazione, emergeva, tra i principali obbiettivi, quello di creare spazi per incontri, dibattiti, iniziative culturali e socializzanti, oltre che la nascita di un asilo nido, di una scuola popolare, di una biblioteca e di una palestra popolare. Si alternavano attività tra impegno civile e cultura underground giovanile.
OMICIO DI DUE “ZECCHE” DEL LEONCAVALLO
C’è chi, con sguardo esterno, definiva questo luogo “il ritrovo di zecche, delinquenti e drogati” e chi, invece, internamente, lottava in maniera silenziosa (e non) per combattere queste piaghe sociali, ignorando qualsiasi etichetta e targa affissa sul retro.
A Lambrate il Leonka di fine anni 70 era molto attivo nel dossieraggio di nomi e luoghi dello spaccio in città. Qualche bar, ritrovo di trafficanti, era stato bruciato, e parecchi pusher erano stati picchiati. In un clima di mobilitazione dell’estrema sinistra contro la droga, avvenne un duplice omicidio: Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci, detto Iaio, due giovanissimi autonomi frequentatori del centro sociale Leoncavallo, impegnati nell’attività di controinformazione contro gli spacciatori di eroina e cocaina. Dopo numerose minacce verbali e scritte, lette come avvertimenti intimidatori, 8 colpi di pistola segnarono la loro fine. Si erano scavati la fossa e ne erano consapevoli ancora prima di entrarci ed esser ricoperti di terra. Nonostante i delitti siano rimasti irrisolti, sarà l’opinione comune a decretare i colpevoli: neofascisti di estrema destra e servizi segreti italiani sono stati, e restano, i maggiori indiziati. Il giorno dei funerali dei due ragazzi le fabbriche scioperarono e più di 100.000 persone si riversarono in piazza Duomo.
DALLA LOTTA ALL’EROINA ALLA REPRESSIONE
I successivi anni 80 aprirono un nuovo capitolo, portando con sé l’inizio della battaglia contro il nucleare e il ritorno sulla scena dei movimenti studenteschi. E’ il 1981 e i magistrati scoprono la lista dei nomi facenti parte della loggia P2. Un crescente senso di sfiducia nei confronti dello Stato porta la violenza ad essere l’unica parola possibile. I giovani, destinati in questo modo ad arresti di massa, arrivano a chiudersi in sé stessi. I movimenti di militanti scelgono la clandestinità. Al Leoncavallo non si parla di altro che di repressione. Ma qual è la differenza tra la repressione di un istinto e la repressione di un ideale? La verità è che ci sono sempre due lati di un foglio, due lati di una moneta e due lati di una porta.. ci sono invece tre lati dell’umanità: c’è chi reprime un istinto reprimendo un ideale, chi reprime un istinto ma non un ideale, chi non reprime un istinto portando comunque avanti il proprio ideale.
“Non appartengo a nessuna razza eccetto quella che mi è stata imposta. Non ho una terra, eccetto quella cui sono obbligato ad appartenere. Non ho tradizioni. Sono libero. Appartengo solo al futuro” Richard Wright. E’ questo il motto di Leoncavallini che accompagnerà, negli anni, la convivenza all’interno del centro.
DALLA REPRESSIONE ALLO SGOMBERO
Se tutte le persone fossero realmente libere, probabilmente, non esisterebbero leggi, divieti e obblighi. Di fatto, dunque, l’esistenza di una struttura libera non ne legalizza l’occupazione. L’occupazione è reato. Nel 1989 ebbe luogo il primo sgombero del centro sociale, seguito da una parziale ricostruzione. Nel 1994 la rimozione definitiva del centro da via Leoncavallo, lo spostamento temporaneo in via Salomone e infine l’approdo in via Watteau. Oggi dove sorgeva la sede iniziale del Leonka c’è una banca e, in quella zona, le fabbriche sono scomparse lasciando il posto a tanti nuovi immigrati stranieri.
Sono 25 anni che la famiglia Cabassi, proprietaria della struttura in Via Watteau, chiede di rientrare in possesso dell’immobile. Non c’è verso e persiste uno scarico di responsabilità tra chi occupa e chi permette di occupare: i legali del centro temporeggiano e il Viminale, in quanto responsabile della sicurezza e dell’amministrazione del territorio italiano, è chiamato a risarcire di oltre 3 milioni di euro l’ex fabbrica. Dopo la giornata antisfratto del 24 Gennaio, ad oggi, sul sito ufficiale si legge: “Nessuno sgombero fermerà mai la nostra rabbia e la nostra gioia di lottare”.
Dal Leoncavallo è tutto, linea al Viminale!