Pasolini, l’intellettuale che più ci manca

Quella in cui viviamo è un’epoca in cui la futurologia va molto di moda. Esperti di tecnologia, sedicenti mental coach e motivatori, youtuber ogni giorno ci illuminano su come sarà il mondo di domani e ci svelano i trucchi per arrivare preparati.
In realtà nella gran parte, se non proprio nella totalità, di questi casi si tratta semplicemente di imbonitori o venditori di pentole (con tutto il rispetto per Mastrota).
Non basta conoscere il passato e nemmeno essere dei fini analisti del presente per prevedere il futuro. La capacità di predire ciò che avverrà sulla base di un’acuta osservazione delle trasformazioni che coinvolgono le comunità è propria soltanto dei poeti e degli intellettuali. In Pasolini vedo personalmente l’ultimo rappresentante italiano di entrambe le categorie.
Ogni volta che mi trovo a leggere uno dei suoi articoli o a rivedere le sue apparizioni televisive rimango profondamente colpito dalla preveggenza con cui intuì perfettamente come la tecnologia e i mass media avrebbero plasmato la società da lì a cinquant’anni. Ci si impressiona ancor di più pensando che nel momento in cui Pasolini parlava, la civiltà della téchne, per dirla con Severino, era agli albori. Ciò che diceva, oggi, oltre ad essersi realizzato, sarebbe drammaticamente ingigantito. Pasolini profeta dunque. Una sorta di Prometeo novecentesco, nel senso etimologico del termine.
Scriveva Charles Peguy nel suo Il denaro: «Un tempo un cantiere era un luogo della terra dove gli uomini erano felici. Oggi un cantiere è un luogo della terra dove gli uomini recriminano, si odiano, si battono; si uccidono. Ai miei tempi tutti cantavano (me escluso, ma io ero già indegno di appartenere a quel tempo). Nella maggior parte dei luoghi di lavoro si cantava; oggi vi si sbuffa». Pasolini, forte della sua cultura marxista, è stato forse il più attento narratore di questa mutazione.
È stato in grado di percepire prima di chiunque altro, e insieme forse solo a Leo Longanesi, le insidie del benessere sugli strati più bassi del popolo italiano, destinati con l’accesso progressivo ai privilegi della vita borghese a diventare massa informe, così come sul paesaggio, svilito e condannato a perdere la propria autenticità storica e rurale.
Pasolini è stato romanziere, poeta, regista, drammaturgo, oltre a essere uno degli intellettuali più significativi e controversi a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta. Pur dichiaratamente comunista e particolarmente legato alla figura di Gramsci, è stato uno dei più accesi critici della sinistra e della sua doppia morale, tanto da esser considerato da quella stessa parte un eretico. Pasolini era un uomo libero e in quanto tale sofferente. Era un uomo contro, perennemente in opposizione alle mode e, perché no, alla modernità, per lo meno quella in cui sviluppo tecnologico e progresso umano non coincidono. Si recuperi in tal senso il film La rabbia, dove da una parte Pasolini e dall’altra Guareschi, altro grande intellettuale del suo tempo considerato eretico dal suo stesso schieramento, muovono una feroce e speculare critica ai tempi moderni pur partendo da presupposti e giungendo a conclusioni molto diversi tra loro. Si potrebbe davvero dire che Pasolini avrebbe dato tutto se stesso per tenere in vita il mondo piccolo, ambientazione privilegiata delle storie di Guareschi.
Pasolini disprezzava l’uomo medio, il suo conformismo, il suo malcelato razzismo, il suo sprezzante qualunquismo, come fa dire a Orson Welles ne La Ricotta. Inadatto alle mezze misure, amava le persone massimamente ignoranti, che possibilmente non abbiano fatto nemmeno la quarta elementare, assolutamente semplici, prive di quella cultura piccolo borghese che è sempre corruttrice e che sono dotati di una grazia che poi si ritrova a un altissimo grado di cultura. Come per effetto di questa radicalità, i suoi attori prediletti sono presi direttamente dalla strada, dilettanti assoluti come Ninetto Davoli e Sergio Citti, o mostri sacri come Totò e Anna Magnani, che insieme a Pasolini danno vita a capolavori di crudezza e tenerezza come Mamma Roma o visioni oniriche come Uccellacci e uccellini. L’incontro con la Magnani verrà definito dal Maestro stesso come l’incontro di due angosce.
Pasolini è stato soprattutto voce delle borgate, degli emarginati e delle prostitute. Anche in questo caso, prima di ogni altro.
Personalmente sono molto legato al suo Vangelo secondo Matteo, l’unica vera trasposizione cinematografica della vita del Cristo. Pasolini è l’inventore di Accattone, personaggio irredento che finalmente oltrepassa il moralismo che caratterizzava il cinema neorealista. È l’autore di Ragazzi di vita, pluri-condannato per vilipendio alla morale pubblica e alla religione da un’Italia bigotta e ipocrita. È il poeta che da vero corsaro ha avuto il coraggio di recuperare il poeta ostracizzato Ezra Pound. È la voce scomoda di un uomo che non ha paura di denunciare l’omologazione e la dittatura dei consumi che vede imporsi come unici mantra nell’Italia del boom.
In un panorama sterile e di opinioni allineate come quello di oggi, di nessun altro intellettuale ci sarebbe bisogno tanto quanto di Pasolini.