Referendum trivelle, iniziamo a parlarne. Prima parte

Avvertenza: coloro che hanno già un’idea dei temi centrali del referendum abrogativo del 17 aprile, quello riguardante l’interruzione o continuazione delle estrazioni di petrolio e gas attive entro 12 miglia dalla costa italiana, non hanno bisogno di leggere questo articolo. A chi invece le parole referendum, trivelle e 17 aprile non richiamano nessun significato condiviso, se non quello di ogni termine preso singolarmente, consigliamo di continuare la lettura. Fra poco più di un mese saremo infatti chiamati ad esprimere un’opinione (un voto) su un tema estremamente complesso, e non potrebbe essere altrimenti trattandosi della politica economica del nostro Paese.
L’articolo che segue ha due obiettivi. 1) formare una mappa logico-concettuale sul tema del referendum che il lettore possa adottare come punto di partenza per le sue indagini personali. Non si tratta soltanto di possedere una cartina di riferimento ma, come quando ci si è persi in un territorio sconosciuto, individuare la propria posizione su di essa. A questo proposito un grande teorico della democrazia contemporanea, l’americano Charles Edward Lindblom, intitolò la sua opera del 1990 Inquiry and Change (Indagine e cambiamento), per sottolineare il ruolo fondamentale delle ricerche dei singoli cittadini nell’espressione delle loro preferenze al momento del voto. 2) portare all’attenzione un tema che non ha la risonanza mediatica che meriterebbe. Se c’è un modo virtuoso di utilizzare i social media, e un quotidiano indipendente in prima battuta, è proprio quello di controllare ‘l’ordine del giorno’ della politica. Un illustre collega di Lindblom, Robert A. Dahl, inseriva la trasparenza nell’agenda politica come prerequisito per una democrazia sana e come segno vivente della sua salute. Nel caso di un referendum i punti 1 e 2 si incrociano e rafforzando vicendevolmente, dato che una maggiore cognizione riguardo al problema aumenterà la qualità del voto dei singoli e darà un mandato preciso al mondo politico.
Senza dilungarci oltre veniamo al tema. Ogni referendum parte da un quesito rivolto ai cittadini e, parafrasando, in questo caso la domanda è: volete che le estrazioni di petrolio e gas nelle acque territoriali italiane (entro 12 miglia) vengano interrotte alla scadenza dei contratti, considerando che i giacimenti non sono esauriti?
Una prima complicazione si trova nella forma del testo che gli italiani si troveranno davanti il 17 aprile. Essendo abrogativo, infatti, il referendum chiederà se volete abrogare (annullare, interrompere) l’articolo 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. Votando SI approverete l’interruzione delle estrazioni marine entro 12 miglia, votando NO sosterrete la tesi opposta. Il voto da esprimere è tra due opzioni e pertanto una buona idea sarebbe dividere a metà un foglio A4 e riportare su una colonna i pros (benefici) e sull’altra i cons (costi, danni) di ogni scelta. Oggi lo faremo con riguardo all’opzione SI, cioè ci interrogheremo sul perché dovremmo preferire l’interruzione e la relativa chiusura degli impianti di estrazione. Nel prossimo articolo elencheremo invece le ragioni del NO.
Il primo ordine di ragioni a favore del SI è economico. 1) L’Italia non soffrirebbe una grande perdita dato che le royalties (percentuali) che lo Stato prende in quanto proprietario delle risorse naturali dalle compagnie di estrazione (in maggioranza estere) è tra le più basse al mondo. 2) Anche a livello energetico sembrano non esserci forti ragioni per mantenere attivi gli impianti dato che le estrazioni coprono appena il 7% del fabbisogno del Paese e, si stima, a questo ritmo potranno continuare per pochi decenni prima dell’esaurimento. 3) non regge neanche la tesi dell’aumento dell’occupazione dato che il settore estrattivo è a bassa intensità di forza-lavoro. 4) il turismo e la pesca, due settori strategici per l’economia italiana, vengono danneggiati dall’inquinamento e dall’impatto ambientale degli impianti estrattivi.
Ai quattro punti si aggiungono le considerazioni di carattere ecologico-morale. 5) l’inquinamento prodotto e i danni all’ecosistema marino non sono giustificabili neanche attraverso un ritorno economico o energetico (che comunque, abbiamo visto, sembra non esserci); 6) a questo proposito la tecnica dell’air-gun, violente onde sismiche dirette sul fondale marino a scopo esplorativo, è particolarmente dannosa. 7) il problema non è soltanto dell’ecosistema marino, ma anche l’inquinamento provocato dalle polveri sottili nell’aria.
L’ottavo, e più generale, argomento a favore del SI è una considerazione di politica energetica. 8) l’Italia deve adeguarsi e farsi promotrice della spinta verso l’adozione delle energie rinnovabili, abbandonando (e/o riconvertendo) progressivamente le altri fonti di approvvigionamento. In realtà l’argomento ha due sottoinsiemi tra loro collegati: 8.1) essendo i 2/3 del suo fabbisogno energetico coperti da importazioni, sarebbe saggio per il nostro Paese accelerare la ‘transizione verde’ al fine di raggiungere un minimo di indipendenza economico-energetica; 8.2) dati gli obiettivi mondiali sulla sostenibilità e sul rispetto del pianeta, la ‘transizione verde’ si impone come dovere morale verso gli altri Paesi e le future generazioni.
Ho cercato di fornire un elenco sintetico quanto esaustivo delle ragioni del SI. Ribadisco però che se ogni punto non viene verificato (o eventualmente confutato) dalla ricerca approfondita del lettore, un articolo del genere ( e se ne trovano molti in rete) non può costituire una base solida sulla quale esprimere il proprio voto. In termini logico-matematici, è una condizione necessaria ma non sufficiente. Per questa e altre ragioni vi invito a darvi da fare.
di Paolo Santori