De Bortoli-Boschi: meccanismi e protagonisti della Democrazia

Un botta e risposta davvero interessante quello tra l’editorialista del Corriere della Sera Ferruccio De Bortoli e il ministro per le riforme costituzionali (e per i rapporti con il parlamento) Maria Elena Boschi. Tema: la democrazia, o meglio, l’impatto che le riforme dell’attuale governo avranno nel tentativo di ravvivare un sistema democratico in difficoltà e nell’avvicinare elettori oramai lontani dalla politica. De Bortoli si appoggia ad illustri filosofi-politologi italiani come Carlo Galli e Stefano Petrucciani nel sostenere che la priorità è “riempire il fossato tra istituzioni e cittadini” tramite un ripensamento del ruolo della web-democracy o con l’estensione del diritto di voto anche ai sedicenni. La Boschi, con il pragmatismo tipico di chi si trova a dover decidere, ribatte portando i risultati del governo riassunti nei cinque verbi “ aprire, includere, partecipare, condividere, scegliere”. I primi quattro garantiti da strumenti come i referendum propositivi e di indirizzo – significativo l’innalzamento del numero delle firme per le leggi di iniziativa popolare – o il ricorso al débat publique (meccanismo di ispirazione francese per includere le comunità) sull’assegnazione di appalti; il quinto, prioritario per il ministro, attraverso la nuova legge elettorale e la riforma del Senato della Repubblica..Va bene, in altre parole, includere i cittadini a patto che possano scegliere una classe di governo che abbia la possibilità di governare senza impedimenti superflui.
Oltre ad essere un efficace riassunto dei problemi e dei tempi dell’agenda politica italiana il carteggio De Bortoli-Boschi individua, omettendolo, un tema fondamentale per le democrazie contemporanee: la distinzione tra meccanismi e protagonisti.. Per meccanismi intendo i sistemi ‘esterni’ che permettono al cittadino di essere parte attiva nella vita politica di un Paese. Non sto parlando soltanto delle elezioni, dei referendum, dei débat publique ma anche di proposte meno conosciute come la democrazia deliberativa o il meccanismo del sorteggio. In un libro contro le democrazie ridotte soltanto al momento delle elezioni lo storico belga Van Reybrouck richiama il sorteggio delle cariche, presente nei sistemi democratici fino al 1700, come soluzione istituzionale alle incongruenze della democrazia rappresentativa.
La mia impressione è che, eccetto per dei richiami retorici, nessuno si soffermi più sui protagonisti della democrazia. “Ma occorrono cittadini informati, responsabili e convinti che la loro opinione conti davvero”. Così conclude de Bortoli il suo articolo e, forse con uno sguardo troppo ottimista, possiamo riscontrare la stessa posizione nel ‘partecipare’ della Boschi. Non si possono tuttavia considerare queste parole fuori dal contesto in cui vengono usate, fuori cioè da due articoli che, proponendo soltanto meccanismi, implicitamente assumono che sia soltanto lì il problema. In altre parole, il buon cittadino è per loro il risultato automatico di buone istituzioni. Forse vado oltre le pretese dei due editoriali, ma mi pare che il problema dei ‘protagonisti’ sia altrettanto fondamentale e attribuisco la tendenza ad ignorarlo a tre fattori riscontrabili nella nostra società. Primo, una considerazione di carattere prudenziale. Nessun politico, di nessun partito, attribuirebbe una mancanza ai suoi elettori e questo per le ragioni che possiamo facilmente immaginare. Secondo, in un sistema economico-sociale dove sono le preferenze individuali ad avere il dominio assoluto, qualsiasi invasione di quest’ultime viene percepita come una forma di insopportabile paternalismo. Non dite alle persone cosa devono fare per essere buoni cittadini, sono capaci di decidere da sole. Terzo, questo è il risultato di una teoria politica che da Machiavelli in poi ha rinunciato alle dimensioni morali e religiose e si è trasformata in una scienza dei rapporti di potere.
Il terzo punto è particolarmente significativo. Rinunciare alle dimensioni morali e religiose vuol dire togliere il cittadino, soggetto libero e padrone delle sue scelte, dalla lente della scienza politica. Significa rinunciare a chiedersi cosa renda una persona un cittadino virtuoso, un buon cittadino, e assumere implicitamente che le sue scelte siano sempre le migliori. Se così fosse, infatti, il problema sarebbe soltanto trovare i meccanismi giusti perché ognuno di esprima. Ma l’evidenza quotidiana, amplificata dall’esplosione delle opinioni nei social media, contraddice questa tesi. Un buon cittadino non è soltanto un cittadino informato, ma ben informato. I momenti dell’istruzione, nella famiglia e nella scuola, diventano centrali perché l’autosufficienza in un mondo di ipertrofia informativa porta inevitabilmente ai luoghi comuni o alla disinformazione.
La mia tesi, per concludere, si riassume in un appello a considerare l’inevitabilità dei momenti di paternalismo nella formazione del buon cittadino: le istituzioni, le famiglie, i partiti, le associazioni, i sindacati possono e devono assumersi questo onere. Se eliminiamo il tema dei protagonisti dall’agenda pubblica, soffermandoci soltanto sui meccanismi, la democrazia rimarrà sicuramente impoverita.Come aveva intuito con incredibile precocità rispetto ai tempi Tommaso d’Aquino la philosophia moralis (che trova nella politica il suo momento più alto) ha bisogno tanto delle tecniche (i meccanismi), quanto e soprattutto di cittadini liberi e padroni delle proprie scelte.