La polvere sotto il tappeto

Il consiglio di Stato ha emesso una sentenza a dir poco esplosiva, una miccia al mai sopito tema delle unioni omosessuali.
Respingendo, e quindi decretando l’ invalidità dei matrimoni, ora ci si domanda se sia realmente il momento di rendere chiara e concreta – in un paese lento se si parla di riformismo culturale – l’ ipotesi di affrontare questa esigenza sociale. Il problema è di matrice politica ancor prima che di diritto, tutti siamo consapevoli di come l’arte governativa sia oggi relegata al mero sloganismo speculativ; i diritti alle coppie omosessuali e il tema delle unioni civili sono stati sfruttati come scatole vuote da riempire con voti e consenso in campagna elettorale, dopodiché il nulla.
Lo stesso premier Renzi ha più volte richiamato la necessità di regolare il vuoto legislativo in materia ma, arrivati a questo punto, la questione richiede un interesse da parte di tutte le forze politiche, le quali non potranno più invocare prelazioni su tematiche secondo loro più importanti e procastinando perché il paese ha bisogno di riforme concrete. Nel leggere la sentenza del consiglio di Stato, il quale annulla definitivamente le trascrizioni dei matrimoni dello stesso sesso avvenuti all’ estero, viene spontaneo immaginare una fotografia nitida di un’Italia che non vuole andare avanti. La sentenza doveva chiarire la legittimità della circolare ministeriale emessa dal ministro degli interni Angelino Alfano la quale dava ordine ai prefetti, previa intimazione ai sindaci interessati, di procedere all’annullamento delle trascrizioni. Si evince la prima incongruenza: per annullare atti del genere c’è bisogno di una autorità giudicante e di certo né un prefetto né tanto meno un ministro degli Interni hanno tali poteri. Inoltre i gruppi di rappresentanza omosessuali avevano chiesto di farsi certificare le loro unioni avvenute all’estero sia perché potevano così dare maggior certezza al loro congiungimento, sia perché dalla loro parte c’era una sentenza del tribunale di Grosseto che le aveva considerate legittime. La grande distanza però sta nel fatto che il riconoscimento del diritto deve effettuato nella sola sede parlamentare.
Altro passaggio interessante della sentenza dell’estremo organo giudicante amministrativo è la parte in cui si afferma che il matrimonio tra gay è contrario “all’ordine naturale”. “Incapace – recita il testo – nel vigente sistema di regole, di costituire tra le parti lo status giuridico proprio delle persone coniugate (con i diritti e gli obblighi connessi) proprio in quanto privo dell’indefettibile condizione della diversità di sesso dei nubendi, che il nostro ordinamento configura quale connotazione ontologica essenziale dell’atto di matrimonio“. Riconducendo quindi il nocciolo della sentenza al presupposto “naturale” della differenza di sesso, e usando come paravento culturale il tema delle attuali scale di valori, l’Italia conferma quanto sentenziato dall’Europa a luglio, quando Bruxelles si era pronunciata attraverso la corte di giustizia dei diritti dell’uomo a favore di tali unioni, parte essenziale nel novero dei diritti fondamentali. In quell’occasione l’Italia fu considerata – e lo è tuttora – immobile a livello legislativo oltre che fervente boicottatrice delle unioni omosessuali nonostante l’ammonimento a riempire il vuoto legislativo fu sostenuto dalla stessa Corte Costituzionale e dalla Cassazione, le quali hanno espresso più volte parere simile all’Ue.
Ora, delle due l’una: o il governo sceglie di affrontare una volta per tutte il problema, dando concretezza agli slogan renziani ed evitando di scadere in procedure ministeriali contra legem – di per se un utopia – o decide di opporsi definitivamente. Il costo politico per il Governo è alto sia quanto freddamente calcolato nei termini elettorali. Ai vantaggi elettorali si contrappongono sistemi culturali predominanti nel nostro paese, ma è giunto il momento di muovere perché il tappeto nasconde ormai troppa polvere.