Legge 40: vecchi e nuovi interrogativi

La legge 40, dal titolo “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita”, non cessa di essere occasione di dibattiti e speculazioni. Datata 19 febbraio 2004, la normativa è stata oggetto di frequenti revisioni da parte della Corte Costituzionale. L’ultima, risalente a pochi giorni fa, ha abolito il divieto alla fecondazione assistita di tipo eterologo. Bombardati dai notiziari e dalle autorevoli opinioni, tutti noi siamo oggi obbligati a costruire una solida argomentazione al riguardo; tutti abbiamo il dovere di scegliere da che parte stare.
Impossibile far questo, però, senza partire da una domanda preliminare: che cos’è la legge 40? Qual è il suo contenuto?
È sufficiente una breve e veloce lettura per accorgersi che tale legge, lungi dall’essere una norma assolutamente positiva indicante i vantaggi e i possibili sviluppi della nuova tecnica di procreazione, è piuttosto un fitto elenco di limiti e negazioni. Il che mostra subito la difficoltà che le istituzioni hanno nel prendere decisioni in un contesto di un aperto pluralismo valoriale. Ma cerchiamo di evidenziarlo con qualche esempio concreto.
Nell’art. 1 si specifica immediatamente che sarà ammessa tale pratica soltanto «qualora non vi siano altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere le cause di sterilità o infertilità». Il che conduce a due conseguenze fondamentali:
- Saranno sempre favoriti gli studi e le ricerche allo scopo di eliminare le cause dell’infertilità, come viene specificato più dettagliatamente nell’art.2.
- La fecondazione assistita non sarà permessa a individui fertili ma portatori di malattie genetiche. Tale questione, condannata dalla Corte europea per i diritti dell’uomo, è oggi davanti alla Corte Costituzionale.
Nel Capo II, dopo aver specificato i principi essenziali che la tecnica di fecondazione assistita dovrà seguire, troviamo subito il reo comma 3 dell’art.4 : «Ѐ vietato il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo». L’Italia, fino alla recente sentenza della Corte Costituzionale, non ammetteva la donazione esterna dei gameti, obbligando numerose coppie a recarsi fuori dai confini nazionali.
Particolarmente interessante è l’art. 5, relativo ai requisiti soggettivi: «possono accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi». Anche in questo caso, la perentorietà dell’articolo lascia fuori una fetta piuttosto ampia di popolazione. Il dato più evidente è ovviamente quello degli individui dello stesso sesso.
Una condizione essenziale affinché sia possibile dare avvio alla procedura è quella di “consenso informato”, descritto dall’art. 6. La struttura predisposta deve assicurarsi che i coinvolti siano assolutamente consapevoli di quali saranno i costi, i rischi e i problemi bioetici legati a tale tecnica. D’altra parte il medico responsabile potrà rifiutarsi di svolgere la procedura «esclusivamente per problemi medico-sanitari». L’esclusione di motivazioni altre rispetto a quelle strettamente terapeutiche, fa sì che sorgano immediatamente alcuni dubbi: le questioni bioetiche, dati ritenuti essenziali per determinare la decisione della coppia, non hanno invece alcun valore per quel che riguarda la scelta medica? Basta scorrere gli altri articoli della legge per trovare una soluzione al quesito: seppur nell’apparente contraddittorietà con quanto affermato precedentemente, nell’art. 16 viene ammessa la possibilità dell’obiezione di coscienza.
A partire dall’art.13 vengono poi inseriti gli aspetti più interessanti della legge, specie quelli riguardanti la sperimentazione sugli embrioni umani: Non è ammessa alcuna ricerca o studio se non per «finalità terapeutiche e diagnostiche». Un’affermazione che probabilmente ci lascia insoddisfatti. Quando si tratta di questioni così essenziali per la vita umana è nostro compito scavare ben più a fondo: che cosa si intende per finalità terapeutiche e diagnostiche? È giusto intervenire artificialmente per determinare il DNA di qualcuno che non ha possibilità di scelta? Il caso cieco da cui veniamo al mondo, per citare Habermas, non è forse condizione della nostra uguaglianza e insieme della nostra unicità?
Last but not least, la nostra indagine sulla legge 40 deve rivolgersi ad un ulteriore problema, quello introdotto nell’art.14 e poi abolito dalla Corte Costituzionale nel 2009. Per comprenderlo, è utile partire da una considerazione preliminare. Il problema bioetico che nasce dalla fecondazione assistita è il risultato della domanda sui cosiddetti “embrioni sovrannumerari”. Cioè quegli embrioni che non vengono immediatamente impiantati nell’utero ma vengono crioconservati per l’eventualità che il primo tentativo di impianto non vada a buon fine. Se gli embrioni sono riconosciuti come potenziale vita umana, che cosa farne se non risultano più necessari all’impianto? L’idea di conservarli perennemente congelati o di utilizzarli per altri fini o ancora di distruggerli, non è forse la violazione del diritto fondamentale alla vita umana? Ovviamente questa posizione non avrà alcun valore per tutti coloro che considerano l’embrione come non ancora vita. Per risolvere tale questione in un contesto di pluralismo, la legge 40 aveva stabilito come obbligatoria soltanto la fecondazione di quegli embrioni necessari «ad un unico e contemporaneo impianto, comunque non superiori a tre». Proprio questa espressione è stata dichiarata incostituzionale dalla Corte. La donna poteva continuare a respingere l’impianto e non sembrava ammissibile che una lunga e costosa procedura si risolvesse in un nulla di fatto.
In conclusione, come è apparso evidente da questa indagine, sono molti ancora gli aspetti di tensione legati ad una legge forse troppo frettolosa. Oggi, per di più, l’ammissione della fecondazione assistita eterologa apre ancora altri quesiti e responsabilità istituzionali: il donatore potrà mantenere l’anonimato? Sarà diritto del nascituro conoscere, qualora lo voglia, il proprio genitore biologico? Quanto spesso si potrà donare? Dove? Dietro compenso economico?
Non importa da che parte siamo schierati, non conta quali siano i nostri più personali valori: dopo che la Corte Costituzionale ha emanato questa nuova decisione, così essenzialmente legata al futuro della vita umana, noi tutti abbiamo il dovere di dialogare e la Legge quello di deliberare.
di Alice Andreuzzi
30 aprile 2014