Ludovico Gritti: la miopia dell’ambizione
Ludovico Gritti fu un uomo dalla difficile classificazione: machiavellico incompleto, rinascimentale nell’animo e contraddittorio nella sua parabola politico-personale. Un uomo che la storia ha annoverato tra gli sconfitti, piccolo che tenta di imporsi tra i giganti, ma privo di quelle fondamenta che permettono una legittimazione tra i potenti.
Gli inizi
Figlio illegittimo del futuro doge di Venezia Andrea Gritti e di una donna greca, Ludovico si pone quale sintesi di due culture in un momento assolutamente dinamico degli equilibri nel Mediterraneo, e non solo. Ed è proprio questo cosmopolitismo che costituisce il primo punto di contatto tra il nostro “Principe” mancato e l’emblema dell’uomo rinascimentale; Gritti è in grado di comprendere culture diverse, muoversi tra esse e sfruttare dette doti per costruire un futuro al di là dei limiti di casata.
Specchio del Rinascimento, incarna un’epoca in cui i confini si fanno più labili in virtù dei rapporti commerciali, diplomatici e della circolazione delle idee che pongono l’individuo al centro del mondo, in grado di influenzare e finanche determinare la storia con le proprie azioni e le proprie scelte. La storia di
Ludovico Gritti riflette l’idea per cui l’uomo non è predestinato dalla nascita, ma artefice del proprio destino è in grado di far sentire la propria voce con forza cogente nelle dinamiche sovraordinate, in costante tensione tra l’ambizione personale e i limiti di un’imperfezione umana, legata a modelli sociali ancora lontani dall’essere superati.
Gritti e Machiavelli
In questa prospettiva è piuttosto intuitiva la via che lega il nostro outsider al Principe di Machiavelli, a cui i rimandi storico e letterari non sono certo mancati nell’analisi di una personalità tanto complessa. È allora agevole cogliere come entrambi incarnino il leader che agisce al di là della morale tradizionale, guidati dalla virtù e dalla necessità di dominare la fortuna. Soffermandoci su questo secondo aspetto, possiamo ivi individuare il limite di un uomo che non riesce a rispecchiare in pieno i canoni letterari di Machiavelli, stante la visione a corto raggio che impedì a Gritti di cogliere il limite di un potere privo di sostegno militare, reale e soprattutto, popolare. Per questo possiamo considerare la sua fine non tanto semplice conseguenza di un complotto -per le cui dinamiche rimando alle vicende militari ungheresi del 1534, ma frutto maturo della debolezza strutturale del suo potere.
Dall’illegittimità al potere
Alla luce di un quadro generale sulla sua personalità, risulta ora più agevole inquadrare le dinamiche di vita che lo portarono dall’illegittimità di discendenza nella Serenissima, alla gestione di territori strategici nei Balcani, passando per le grazie di Solimano il Magnifico. Ludovico Gritti seppe infatti far tesoro del supporto paterno, che lo portò in Oriente ad affermarsi come consigliere ed intermediario tra la Repubblica di Venezia e l’Impero Ottomano, fino al rapporto fiduciario con il sultano sfociato poi nel protagonismo nel Regno di Ungheria. Furono le sue abilità linguistiche, culturali e geopolitche a renderlo un uomo di assoluto rilievo sia per Venezia che per la Sublime Porta, con radici poggiate ma mai penetrate nelle due civiltà. Il ruolo più significativo fu certamente quello ricoperto nella realtà ungherese, in un momento assolutamente delicato conseguente alla battaglia di Mohacs e alla tensione tra gli Asburgo e i Zapolya ivi rivolta. Fu proprio con Giovanni Zapolya che Gritti trovò terreno fertile per le proprie ambizioni, assumendo il ruolo di reggente del regno in suo nome.
Malgrado una naturale attrazione verso il potere ed un eclettismo che lo resero, alla luce della storia, strumento dei potenti, la politica di Gritti fu caratterizzata da uno stampo autoritario e l’antipatia per le elites locali concorse allo sviluppo di un clima assolutamente ostile. Fu infatti la nobiltà ungherese a muovere le fila del suo epilogo, architettando una rivolta con la spietata collaborazione di Stefano Majlath, uno dei suoi alleati. Emerge cosi nella fine di Ludovico Gritti il limite delle ambizioni dinastiche e la solitudine di un uomo che, nella ricerca del potere, ha rispecchiato le tensioni del XVI secolo.