Tenero, ironico e lucido nella critica sociale: I miei due papà di Erik Mukendi
Erik Mukendi, nel suo libro I miei due papà (Edizioni e/o, 2024), dipinge un affresco della vita di Boris, un ragazzo quattordicenne congolese naturalizzato francese che si trova al centro di un turbinio di emozioni, conflitti familiari e domande esistenziali. La trama offre diverse riflessioni sociali e una lettura che è sia leggera che profondamente introspettiva, esplorando le complessità della crescita adolescenziale in una banlieue parigina.
Trama
La storia prende il via quando Boris, che ha sempre creduto che il suo padre biologico fosse morto, vede riapparire quest’ultimo all’improvviso. L’uomo, scomparso dalla sua vita molti anni prima, torna come un fantasma dal passato, spazzando via la tranquillità che Boris ha costruito con lo zio Fulgence e sua moglie Béatrice. La coppia, che vive una relazione mista, ha sempre accudito Boris come se fosse figlio di Fulgence, convinta che il ragazzo sia stato adottato dopo essere stato portato dal Congo. L’arrivo del padre naturale sconvolge gli equilibri familiari, creando un conflitto di autorità e di identità. Boris si trova costretto a confrontarsi con una figura paterna che non aveva mai conosciuto, mentre cerca di mantenere la serenità con la sua famiglia “adottiva” che l’ha cresciuto in un contesto di apertura e modernità. Questo scenario esplode in un turbine di emozioni contrastanti: dal desiderio di riconoscere il padre biologico, alla confusione riguardo alla propria identità culturale e familiare. Il giovane protagonista si ritrova così a navigare tra le aspettative contrastanti di due figure paterne, il padre biologico e lo zio, in un quadro familiare che diventa sempre più complicato.
Un racconto di crescita e integrazione
Mukendi riesce a trattare temi complessi come l’integrazione, le dinamiche familiari e l’identità con una scrittura che sa essere leggera e divertente, pur mantenendo un acume sottile. La storia si snoda attraverso gli occhi di un Boris che è ormai perfettamente integrato nella società francese, ma che, al contempo, non può fare a meno di sentirsi “diverso”. Vive a Bondy, nella periferia parigina, una zona che rappresenta un microcosmo della Francia multiculturale, dove si intrecciano storie di immigrazione, affetti e sogni di riscatto. Boris, pur essendo un ragazzo di periferia, sogna una vita diversa e si innamora della bella Hortense, una ragazza che appartiene al mondo borghese parigino, creando un contrasto tra la sua realtà quotidiana e quella della “Parigi dei sogni”. La sua cerchia di amici, composta da ragazzi di diverse nazionalità e origini, diventa un altro strumento per esplorare la complessità della sua identità: essere africano, essere francese, essere giovane e in cerca di sé stesso in un mondo che spesso impone etichette rigide e stereotipi. Il romanzo riesce a fare sorridere il lettore, ma anche a farlo riflettere sulle sfide che affrontano le nuove generazioni di migranti in Europa, che sono chiamate a conciliarsi con la propria eredità culturale e la necessità di adattarsi a un contesto sociale e politico che spesso li emargina.
Tra l’ironia e la riflessione
Mukendi sa usare l’ironia per svelare le contraddizioni della società occidentale, ma non evita di affrontare le difficoltà quotidiane che nascono dall’integrazione e dal confronto con le proprie radici. Il romanzo è un atto di denuncia, ma anche un inno alla speranza, capace di restituire la complessità della realtà senza mai cadere nel dramma. Il giovane Boris, protagonista di una storia che mescola risate e riflessioni, diventa emblema di una generazione che vive il conflitto interiore tra il desiderio di appartenere a una cultura e l’urgenza di restare fedeli alla propria. In un’epoca in cui le questioni legate all’immigrazione, all’integrazione e all’identità sono sempre più attuali, I miei due papà di Erik Mukendi offre un racconto lucido e delicato, che sa emozionare e far pensare, rendendo la lettura un’esperienza unica e arricchente.