Tra i Pasti: l’arte di vivere (e mangiare) senza dogmi

“Se si considerano i milioni di permutazioni di cibi e vini da provare, è facile capire che la vita è troppo breve per la formulazione di dogmi.”
Abbot Joseph Liebling, noto giornalista del settimanale The New Yorker, testimone ed eredità preziosa della prima metà del Novecento, omaggia la cucina francese e il piacere del cibo nel suo Tra i pasti. Un appetito per Parigi, opera messa sul mercato da Edizioni Medhelan.
Nato a New York da un immigrato che aveva fatto fortuna grazie al commercio di pellicce, Liebling studia alla Columbia University School of Journalism.
Ben presto, la vita newyorkese appare a Liebling come volgare e priva di anima.
Vi preferisce la Francia.
Nella prefazione curata dall’amico, scrittore e sceneggiatore James Salter, l’autore viene descritto non solo come parte della generazione che ha vissuto le due guerre mondiali, ma anche come membro di quella sua mitica scheggia che ha conosciuto Parigi in quelli che oggi appaiono come i suoi giorni più gloriosi.
È sempre Salter che introdurrà il libro come una sorta di guida a una Parigi leggendaria: “Liebling raccoglieva, come fa la gazza con i pezzettini di pago e di metallo luccicante che riporta al nido, le cose scartate ma dotate di una carica emotiva, i frammenti di una città bellissima che stava scomparendo.”
Il libro, pregno di aneddoti e consigli, è molto vicino al genere del romanzo.
Ed è una vera e propria ode alla cucina parigina.
“Il primo requisito per scrivere di buon cibo è un buon appetito, il secondo è fare l’apprendistato di mangiatore quando si hanno abbastanza soldi per pagare il conto ma non abbastanza da restare indifferenti di fronte al totale.”
Da sempre attratto – come ricordato da Salter – dalle disarmonie sociali, Abbot ritiene che i ricchi francesi del tempo, portati alle scelte culinarie più sofisticate, non possano conoscere alcune prelibatezze del popolo, come la trippa.
Inoltre, Liebling non intende proprio rinunciare al piacere della tavola e anzi deride chi continuamente a dieta.
“Nessuna persona sana di mente può permettersi di rinunciare a piaceri debilitanti; nessun asceta può essere considerato attendibilmente sano di mente.”
Consapevole del fatto che il suo avversario più duro era proprio la pura e semplice gola, Liebling racconta, con il suo inconfondibile umorismo, anche del suo ricovero volontario in una “prigione svizzera”, tentativo disperato contro l’obesità.
Tra i suoi otto capitoli, c’è un continuo intreccio di storie esilaranti, pensieri e vicende che ruotano attorno a celebri locali parigini e figure del mondo della ristorazione.
Il vero fulcro della narrazione sono i piatti e vini, minuziosamente descritti con un’attenzione e una cura ai dettagli da far pensare a una vera e propria guida culinaria.
Ma non si tratta solo di questo.
Pagina dopo pagina, è sempre più chiaro lo stile arguto dello scrittore e la sua visione ironicamente esteta della vita.
È il punto di vista di una personalità poliedrica, dotata di un gran carisma.
Carisma che, sebbene gli sia sempre stato riconosciuto dalla sua cerchia, è stato più volte messo in discussione dal mondo accademico americano.
Eppure, Liebling, con maestria innata e innegabile talento per la scrittura, riesce a celebrare ciò che rende il cibo qualcosa di molto di più di un’esperienza sensoriale.
La penna di Abbot Joseph Liebling trasforma ogni piatto e ogni bicchiere di vino in simboli di un mondo in continuo cambiamento, di una Parigi che lui ama profondamente e con devozione e che teme di perdere.
Il suo racconto è una dichiarazione d’amore per la vita, resa ancor più preziosa dalla consapevolezza che ogni scelta – anche e soprattutto a tavola – è un atto di libertà e di ribellione contro la banalità.