Ricchezza espressiva araba e profondità concettuale iranica: l'eterno capolavoro della poesia persiana tradotta da Alessandro Bausani
Omar Khayyâm, Quartine
Ricchezza espressiva araba e profondità concettuale iranica: l'eterno capolavoro della poesia persiana tradotta da Alessandro Bausani
Recensioni - 9 Ottobre 2024
di Lucrezia De Lellis
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Alessandro Bausani (a cura di), Omar Khayyâm, Quartine, Einaudi Editore.
Quartine è la raccolta poetica che, al pari di un suono che si ode provenire dal profondo, continua a parlarci di Vino, di Terra e dell’importanza di cogliere il momento propizio: questi alcuni temi e leitmotiv di una voce inconfondibile che scatena – dopo un millennio – fantasie sulla vera natura dei simboli contenuti nei suoi versi.
Alessandro Bausani (a cura di), Omar Khayyâm, Quartine, Einaudi Editore.
L’autore è il matematico, astronomo, filosofo e poeta iraniano, Omar Khayyâm, dove “Khayyâm”, sembra derivare dalla professione del padre, letteralmente “fabbricante di tende”.
Di lui sappiamo essere nato nella città di Nisciâpûr, Persia nord-orientale, verso la metà dell’XI secolo d.C., vissuto in un contesto di grande instabilità politica e sociale a causa dell’invasione dei turchi selgiuchidi e morto intorno al 1126.
Sappiamo della sua rigorosa dedizione, fin dalla giovane età, alla matematica, all’astronomia e alla filosofia, tanto da scrivere numerosi trattati scientifici, tra cui l’opera che consolida la sua fama di matematico, Trattato sulla dimostrazione dei problemi di algebra.
È noto anche che nel 1073, su invito del potente e dotto ministro, Nezâm-ol-Molk, egli fonda e dirige un osservatorio astronomico, dove, a capo di una squadra di astronomi, si dedica alla compilazione di precise tavole astronomiche e alla riforma del calendario persiano.
Sarà solo nel XIII secolo che si inizierà a parlare di Khayyâm come poeta: i suoi versi sono ampiamente apprezzati non solo in Iran, ma anche in Occidente, dove diventano particolarmente popolari nel XIX secolo grazie alla traduzione inglese di Edward Fitzgerald.
Oggi le sue famose Quartine (rubāʿiyyāt) sono considerate tra i capolavori della poesia persiana.
Il Vino e Dio
Il rapporto che l’io lirico intrattiene con questa bevanda – proibita per la religione musulmana – è di concessione completa, di abbandono: da questo stato si passa alla creazione di immagini estatiche descritte con sapiente sensualismo umano, in forte contrasto con l’inevitabile fine di tutto.
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78
Il Contadino del Fato molti come noi seminò, molti hamietuto;
È inutile dunque ogni pianto, ogni lamento, vano.
Riempi la coppa di vino, in mano dammela presto,
Che beva di nuovo, ché quel che ha da essere, è stato.
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A tratti riflette la relazione che un ortodosso religioso intrattiene con Dio. Tuttavia, mentre il Vino è il caos a cui l’io lirico sceglie liberamente di affidarsi, nei confronti di Dio non si può che accettare un rapporto impari, in quanto ogni cosa nel mondo, anche la più sublime, è destinata irrimediabilmente a consumarsi.
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39
Giorni di primavera e rive d’un rivo e lembo di prato,
E ancor qualche bella fanciulla docile dolce d’angeliche forme.
Porgi la coppa allora, ché chi beve vino al mattino
Non cura pensier di Moschea, è libero d’ansie di Chiesa.
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Un’estrema forma di ribellione che si esplica attraverso l’atto non di sfidare la forza che domina il Tutto, ma di affidarsi al corso degli eventi e ai piaceri che ne derivano, in quanto non c’è nulla che si possa sperare di ottenere da un destino che ci induce a diventare terra e a far nascere fiori che qualcuno vedrà spuntare sulla nostra tomba.
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81
Fin quando sprecherai tu la vita adorando te stesso?
E ad affannarti a correr dietro all’Essere e al Nulla?
Bevi vino, ché una Vita che ha in fondo solo la Morte
Meglio è che passi nel sonno, meglio è che passi in ebbrezza.
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Come fa notare giustamente Bausani nella sua introduzione al libro edito da Einaudi:
«Khayyâm visse, studiò e assorbì un pensiero, che è quello islamico, possentemente e nudamente teistico, tremendamente demitologizzato. Dio è sovrana e liberissima persona, le leggi della natura non esistono di fronte all’arbitrario Suo agire. (…) Un simile Iddio non si può “studiare” (…); con un simile Iddio bisogna discutere, abbracciarlo o venire alle mani con Lui».
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31
Il Creatore, allorquando plasmò adorne forme e nature,
Per qual ragione mai le gettò sotto imperio di morte?
Se ben riuscita era l’Opra, perché mandarla in frantumi?
E se mal riuscita era, di chi dunque, la colpa?
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La quartina di Khayyâm
Mentre la quartina non ha precedenti nella letteratura araba, spiega Bausani, si riscontra una consistente tradizione di questo genere letterario all’interno della letteratura persiana, particolarmente adatto all’improvvisazione e a esprimere emozioni interiori di carattere religioso.
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98
Se tutto quello che ha l’Uomo è un tozzo di pane, due giorni,
E d’acqua fredda un sorso un istante da un’anfora rotta
Perché bisogna esser servo di chi è meno di noi?
Perché bisogna esser schiavo di chi, come noi, è mortale?
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Non bisogna stupirsi dell’utilizzo, quasi ossessivo di tematiche chiave della sua poetica, quali il vino, la presa in giro dell’ipocrita moralista, l’ironia e la crudeltà del destino: si tratta infatti di temi fissi cui è legata la quartina nel tempo in cui l’autore vive.
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4
Se vino non bevi, gli ebbri non rimproverare
E non cominciare a intrecciare astuzie ed inganni.
Non esser sì fiero di non bere il Vino, ché certo
Cento bocconi tu ingoi, cui il vino è l’umile servo.
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La grandezza e l’eternità dei versi di Khayyâm sono dovuti alla capacità di combinarli in modo inconfondibilmente raffinato, alla sapienza con cui egli rende conto di una lotta incessante tra il divenire – il consumarsi delle cose – e la volontà che invece vorrebbe cristallizzare la vita.
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54
Coloro che furono oceani di perfezione e di scienza
E per virtù rilucenti divennero Lampade al mondo,
Non fecero un passo nemmeno fuori di questa notte oscura:
Narrarono fiabe, e poi ricader nel sonno.
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In più, la lingua d’arte persiana unisce in modo unico caratteri della letteratura araba (ricchezza di forme espressive e scarno contenuto) e quelli della letteratura iranica (opulenza di contenuti leggendari e forme estremamente povere e aride, Bausani p. XXII).
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57
Colui che fondò la terra e la volta celeste e i cieli
Quante brucianti piaghe impresse nel cuore dolente!
E quante labbra di gemma e quante trecce di muschio
Racchiuse in arca di polvere, in scrigno di terra.
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Razionalismo, misticismo e scettica ironia
Alessandro Bausani, nell’introduzione alle poesie da lui stesso tradotte per Einaudi, condensa le interpretazioni attribuite a queste quartine in tre principali correnti di pensiero, più una quarta ipotesi: alcuni vedono in Khayyâm un filosofo razionalista, un ateo scettico che sfida ogni dogma religioso; altri, al contrario, leggono nelle sue quartine una dimensione mistica, un percorso spirituale intriso di una profonda sensibilità verso il divino; c’è poi chi coglie nella sua opera la visione di un uomo di scienza, radicato nel rigore intellettuale, capace di un’alta sensibilità poetica.
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211
M’hai infranto sul sasso il calice del vino, o Signore!
La porta della delizia m’hai chiuso in faccia, o Signore!
A terra hai versato il vino colore di rosa:
Scusami la bestemmia, ma sei tu ubriaco, o Signore?
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La quarta ipotesi sulla poetica di Khayyâm suggerisce una forma di pessimismo razionalistico, che, pur riconoscendo la crudeltà e l’inevitabilità del destino, non si abbandona al tragico. Al contrario, secondo questa visione, Khayyâm tempera il disincanto con una sottile vena umoristica, quasi a voler sfidare l’assurdità dell’esistenza con un sorriso ironico e malinconico.
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237
Di quel vino che per la vita nostra è Altra Vita
Riempimi un calice, anche se il capo ti duole,
E mettimi il calice in mano, ché il mondo è tutta una fiaba;
E porgilo in fretta, poiché la vita passa a ogni istante.
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Ipotesi, quest’ultima, tenuta in considerazione da Bausani, il quale aggiunge che la «tragica disperazione» e la «scettica ironia» servono a dare ordine un mondo destinato al caos; a sopportare la totale mancanza di illusioni, come il dogma profondamente islamico di cui Khayyâm non riesce proprio a persuadersi: la resurrezione della carne, oltre a quella dell’anima.
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21
Fino a quando me ne starò a cuocer mattoni sul mare?
Disgustato io sono di questi Idolatri del Tempio!
Dicono: «Certo Khayyâm se ne andrà nell’inferno…»
Ma chi è mai stato all’Inferno, chi dal Paradiso è tornato?
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Pur non mancando all’interno delle quartine un diffuso sentimento religioso musulmano, a cui egli di tanto in tanto si appiglia, la poesia di Khayyâm aspira al non essere, al non attaccamento alle cose, mostrando affinità con la filosofia epicurea e preludendo ad alcune tematiche shakespeariane.
Si potrebbe dire che per Khayyâm il mondo è della stessa sostanza di cui è fatto il profumo delle rose – magistralmente conservato da secoli nel ritmo delle sue quartine.
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191
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E tutte le cose del mondo, anzi l’intero Universo,
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