Dall’austerità alla democrazia: la lezione politica di Mario Monti
La Demagonia, agonia delle democrazie che può portare addirittura all’agonia dei popoli, è il tema centrale del libro scritto dall’ex Presidente del Consiglio italiano Mario Monti ed edito da Solferino.
“Rigor Montis”, espressione coniata nel 2012 da Beppe Grillo, trova una sua definizione all’interno del dizionario Treccani: “Mario Monti, economista, docente, politico e uomo di governo, visto come artefice di una politica economica rigoristica dagli effetti letali.”
“Demagonia. Dove porta la politica delle illusioni” è molto di più di un saggio politico, è un’occasione preziosa per scoprire la vita di un protagonista della storia italiana ed europea del primo decennio del Duemila.
Il capitolo “Alla larga dalla politica” ha un carattere decisamente autobiografico: vengono percorsi i primi passi della carriera accademica e lavorativa di Monti.
Figlio di una famiglia borghese della Milano degli anni Cinquanta/Sessanta, l’ex premier italiano ricorda con affetto e ironia il consiglio che la mamma Lavinia rivolgeva a lui e a sua sorella: “Ricordatevi sempre, ragazzi: alla larga dalla politica!”.
Monti, nella veste di narratore, ci tiene però a chiarire le sue intenzioni alla platea di lettori: non si considera di certo un predestinato.
Tuttavia, questa sua premessa troverà una smentita nel capitolo “Governare in Europa”: l’ex capo del Governo lavora per la prima volta in Europa da stagista, mentre scrive la sua tesi alla Bocconi sulla politica economica europea. Ai tempi, l’Unione Europea aveva solo sei stati membri.
Galeotta fu la richiesta di tesi al professor di Fenizio sul bilancio economico previsionale della Comunità Europea.
Dopo la laurea in Economia alla Bocconi, l’influenza del professore di Fenizio continua: “Già un docente che nella Milano dei primi anni Sessanta sposta l’orientamento di un giovane borghese milanese da una pacifica attività aziendale o bancaria a un’attività accademica è qualcosa di notevole”.
Dopo la laurea e un periodo di specializzazione a Yale, nel 1969, Monti diventa professore presso l’Università degli Studi di Trento e dal 1970 presso l’Università degli Studi di Torino, che lascerà nel 1985 per diventare professore di economia politica presso l’Università Bocconi di Milano.
Ed è nel corso della sua incredibile carriera accademica, che conosce Giorgio Napolitano.
Più precisamente, negli anni Ottanta a casa dell’allora professore ordinario di Economia politica alla Sapienza, Luigi Spaventa.
“Molto lontano dalla politica, ero però attratto dagli scambi di opinione tra Napolitano, Spaventa e gli altri commensali sui temi politici del momento, così come sulle questioni sociali e sulle loro connessioni con le politiche economiche.”
È il 1994, quando il “non predestinato” Mario Monti viene designato per la nomina a commissario europeo del primo governo Berlusconi. Jacques Santer, al tempo presidente della commissione, gli assegna le deleghe a Mercato interno, servizi finanziari e integrazione finanziaria, fiscalità e unione doganale.
Fautore del mercato unico, inteso come mercato più efficiente e che portasse ad una maggiore concorrenza nelle economie nazionali, Monti è stato favorevole alla moneta unica.
Dopo le dimissioni di Santer, nel 1999, Monti viene confermato commissario europeo del governo D’Alema, con delega alla Concorrenza.
Nel paragrafo “Concorrenza” del capitolo “Governare in Europa” viene approfondito il caso Microsoft.
A quei tempi, la Commissione Europea inaugurò uno storico procedimento contro la multinazionale di Bill Gates per abuso di posizione dominante e violazione delle normative antitrust.
Dal 2000 la Commissione Europea si concentrò sul caso di Windows Media Player: il sistema operativo di Windows precludeva in modo sistematico l’accesso a informazioni che avrebbero permesso a società terze di sviluppare prodotti in concorrenza con i propri.
È interessante scoprire il punto di vista di chi ha vissuto in prima persona le decisioni dietro la condanna della società al pagamento di 497 milioni di Euro.
Ancor più interessante è scoprire nel dettaglio le mosse dietro storiche manovre di governo di quegli anni difficili.
Il 9 novembre del 2011, Monti è a Berlino per un dibattito, sono le 19 e riceve una chiamata: “Buonasera, è il Quirinale. Abbiamo il Presidente Napolitano per il Professor Monti.”
È il 13 novembre del 2011, dopo le dimissioni di Silvio Berlusconi, Mario Monti riceve da Giorgio Napolitano l’incarico ufficiale per formare un nuovo governo.
Nel libro, per schierarsi in un’ottica neutrale, e nemmeno favorevole a quella del narratore, è fondamentale comprendere una cosa: il contesto.
Il contesto in molti casi è più importante del susseguirsi degli eventi, soprattutto in politica.
Dopo la famosa crisi del 2008, i risvolti per l’economia italiana sono stati disastrosi, anche a causa del panorama politico di quegli anni.
Il 5 agosto del 2011, l’uscente governatore della BCE Jean Claude Trichet, e quello in pectore, Mario Draghi, scrissero una lettera riservata al governo italiano.
Nella famosa lettera della BCE all’Italia, venivano indicate una serie di misure necessarie da attuarsi al più presto. Una tra tante, il pareggio di bilancio.
Dunque, quando Mario Monti diventa Presidente del Consiglio dei ministri è vincolato dal contesto e dalle pressioni della BCE. Ed è in questo scenario che vengono attuate una serie di misure storiche, come il decreto “Salva Italia”.
La riforma delle pensioni introdotta dal Elsa Fornero, ministra del Lavoro e delle Politiche Sociali nel governo Monti, è stata una delle misure più controverse del periodo post crisi economica del 2011.
La riforma ha esteso il sistema contributivo a tutti i lavoratori, aumentando l’età pensionabile e riducendo la possibilità di pensione anticipata solo dopo un certo numero di anni di contributi e senza l’età minima come requisito.
La Fornero divenne una figura controversa: si pensi alla conferenza stampa di presentazione della riforma: famosa la scena in cui si commosse pubblicamente mentre annunciava le misure più dure.
“Ma la riforma delle pensioni fu il fattore singolo più importante che ha permesso all’Italia – unico Paese a riuscirci nell’Europa meridionale- di uscire dalla crisi dell’eurozona senza dover chiedere aiuti internazionali all’allora famigerata troika composta da Commissione europea, BCE e Fondo monetario internazionale”.
Ma torniamo alla Demagonia.
Divisi tra istinto e ragione, tra dissenso e solidarietà, gli europei faticano a immaginare il futuro.
Citando il politologo Fukuyama, Monti spiega che la decadenza politica avviene quando le istituzioni di una società non riescono a adattarsi a circostanze che cambiano.
L’ex Presidente del Consiglio rivolge due inviti ai giovani. In primis, li esorta ad interessarsi ai problemi della collettività e, in secondo luogo, consiglia di diventare tecnicamente competenti in uno o più campi esterni alla politica.
Per Monti la Demagonia si può e si deve combattere.
Attraverso l’analisi delle sue esperienze politiche, Monti sollecita i lettori a prendere coscienza dei pericoli insiti in una politica distorta, che rischia di compromettere l’interesse collettivo.
La soluzione risiede in una classe dirigente competente e responsabile, capace di mettere il bene comune al centro dell’azione politica.
Se si vuole che la democrazia non venga sopraffatta dalla Demagonia, occorre che il crisma dell’elezione non dia agli eletti due presunzioni: che il voto dispensi dalla necessità di avere conoscenze e capacità adeguate; che per ottenere il voto sia consentito porre il proprio interesse al di sopra dell’interesse generale.