Caso Marò, Italia starebbe pensando a scuse ufficiali

ROMA- L’incontro di ieri tra il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ed il primo ministro Matteo Renzi, conferma la notizia dell’intervento diretto dello Stato italiano nella spinosa vicenda dei due Marò, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, arrestati in India il 19 Febbraio 2012 con l’accusa di avere ucciso due pescatori indiani nella regione del Kerala.
Il primo ministro -conferma ai microfoni di Rtl- starebbe trattando col governo indiano per trovare una soluzione che garantisca il rientro dei due Marò in Italia. Secondo indiscrezioni, come contropartita sarebbero state offerte al governo indiano delle scuse ufficiali da parte del governo italiano e un cospicuo indennizzo per le famiglie dei pescatori uccisi.
Sarebbe (in caso di accordo) un epilogo di una vicenda lunga e dibattuta, iniziata il 15 maggio 2012, quando a largo delle coste del Kerala (area ad alto rischio di pirateria) la petroliera Enrica Lexie con a bordo alcuni fucilieri di marina e con issata la bandiera italiana si imbatté nel peschereccio indiano St. Antony. Ritenendo di essere sotto attacco i Marò spararono alcuni colpi verso il St. Antony uccidendo due pescatori. Attraccati a riva, le autorità indiane arrestarono i due Marò ritenuti colpevoli dell’omicidio dei pescatori, reputando che la giurisdizione sull’accaduto fosse di competenza indiana.
Il governo italiano, però, ha da sempre contestato tale decisione. Primo perché l’“incidente di navigazione” avvenne in acque internazionali. La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (meglio conosciuta come Convenzione di Montego Bay) su questo punto è chiarissima ed indica che “non possono essere intraprese azioni penali o disciplinari, se non da parte delle autorità giurisdizionali o amministrative dello Stato della bandiera” (italiana, nel caso dei Marò). Secondo perché esiste l’immunità funzionale, cioè alla norma che garantisce un’immunità dalla giurisdizione straniera a tutti gli organi dello Stato nello svolgimento delle loro azioni. Proprio perché facenti parte di una missione internazionale ( la Missione Atlanta) per conto dello Stato italiano, i due Marò hanno diritto ad essere giudicati da quest’ultimo.
Di contro la Corte suprema indiana, si è da subito opposta a tali argomentazione indicando a un lato l’inattendibilità delle informazioni sulla posizione della nave, fornite proprio dai due Marò, e all’altro appellandosi al fatto che la nave italiana si trovava in quella che, secondo la Convenzione di Montego Bay, viene chiamata “zona contigua” o “zona economica esclusiva”, zona nella quale la competenza è delle autorità indiane. Inoltre non si può dire -spiega la Corte- che i due Marò stessero svolgendo le loro funzioni, perché non erano soggetti ad un attacco di pirateria (al quale legittimamente avrebbero potuto reagire). Proprio per la convenzione di Montego Bay, infatti, sono classificabili come atti di pirateria quelli svolti in alto mare cioè oltre la “zona contigua” e quella “economica esclusiva”. Anche se il peschereccio avesse avuto intenti bellicosi, cosa tutta da dimostrare secondo le autorità indiane, non si sarebbe trattato di un atto di pirateria e quindi l’immunità funzionale non sarebbe applicabile neanche in questa ipotesi. Date tali premesse, la Suprema Corte indiana ha istituito una Corte Speciale in grado di approfondire le controverse questioni di giurisdizione e contenuto dell’intera vicenda.
Paolo Santori
24 dicembre 2014