Quando musica e politica si scontrano: il caso dei rave party

Il tema dei rave party è diventato di moda, ma esso designa svariati eventi, anche molto eterogenei tra loro: proviamo a fare chiarezza, analizzando il problema e utilizzando come macro-temi la musica e la politica al fine di barcamenarci entro queste problematicità.

L’evento scatenante
Da sabato sera a lunedì mattina, in un capannone dismesso pochi chilometri fuori Modena, in Emilia-Romagna, si è tenuto un grande rave party, cioè una festa di musica techno-hardcore organizzata senza permessi. Si chiama più precisamente Witchtek e da alcuni anni a questa parte, nel ponte di Ognissanti, si tiene questa grande festa. Quest’anno si stima che abbia attirato circa tremila persone: ma lunedì mattina le forze dell’ordine, dispiegate in grande numero, lo hanno fatto finire in anticipo, convincendo i partecipanti ad andarsene. Il rave in questione non ha creato particolari problemi di ordine pubblico o sanitari e non è stato diverso da altri di dimensioni simili che si tengono con una certa frequenza in Italia. La sua particolarità risiede nel fatto che è stato il primo che si è tenuto sotto il nuovo governo di Giorgia Meloni, che sembra intenzionato a mostrarsi più rigido rispetto al passato riguardo a raduni del genere, tradizionalmente sgraditi alla destra.
Questo il caso. Molto particolare, già ampiamente noto, ma che ha destato particolare scalpore per via di un governo che si è insediato da poco e che sembra utilizzare, per questa tipologia di eventi, il cosiddetto “pugno duro”. Per comprendere però il problema specifico, (ri)partiamo a ragionare da un assunto generale, ossia che cosa significhi rave party. Sulla Treccani viene definito come: “Grande raduno di giovani, notturno, per lo più clandestino e di carattere trasgressivo, la cui ubicazione viene generalmente resa nota solo poche ore prima dell’inizio della festa, per evitare possibili interventi delle forze dell’ordine. Si svolge all’aperto o in locali adatti ad accogliere migliaia di persone, che ballano e ascoltano musica elettronica, house o techno ad altissimo volume, e che spesso fanno uso di sostanze stupefacenti.”
Ma i rave non sono una novità e difficilmente si è utilizzata una repressione come quella accaduta a Modena per far sgomberare una festa del genere. Vediamone, perciò, le motivazioni.

Il filo rosso dei rave party: Modena è soltanto l’ultimo di una lunga tradizione
Inizialmente, in quel di Modena, le forze dell’ordine avevano preferito bloccare le uscite da diversi caselli dell’autostrada, cercando di dissuadere i molti giovani che stavano arrivando in macchina nell’area del rave. Il dispiegamento di polizia era stato imponente, ma molte persone avevano comunque potuto raggiungere il capannone, a piedi o anche in auto. Poi, come spesso si è soliti fare, si è passati alle minacce di sequestro delle (costosissime) attrezzature, i soundsystem. La questione che però è importante sottolineare, è il fatto che, soprattutto in passato, gli aspetti di trasgressione durante i rave party sono stati spesso ingigantiti, e, più in generale, i rave sono da sempre circondati di disinformazione e allarmismo ingiustificato. A rincarare la dose ci ha pensato Matteo Salvini su Twitter: “Basta rave party illegali, delinquenti che spadroneggiano, istituzioni umiliate: ora si cambia!”.
I rave party nacquero negli anni Ottanta, in Inghilterra, ed ebbero il loro periodo d’oro negli anni Novanta: fin da subito furono molto divisivi e oggetto di forti strumentalizzazioni politiche, specialmente da parte dei governi di destra. In Italia gli anni dei rave furono soprattutto i Duemila. Spesso oggetto di polemiche e diatribe legali, nel 2017 la Corte di Cassazione si era espressa al riguardo stabilendo che l’articolo 17 della Costituzione indica che i cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senza armi anche in luogo aperto al pubblico. Spesso però i rave sono organizzati in proprietà private, ed è il caso anche di quello di Modena, dove il proprietario del capannone ha presentato denuncia. Più raramente, invece, i free party (free sta sia per libertà, che per un’effettiva entrata gratuita all’evento) disturbano la quiete pubblica visto che si tengono in posti generalmente isolati.
I problemi della legge anti-rave
Al fine di combattere queste particolari feste organizzate, il governo di centro-destra con a capo Giorgia Meloni si è subito espressa con un iter legislativo, improntato all’urgenza e alla massima rapidità: stiamo parlando del decreto legge che introduce il reato di “invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica”, già stato pubblicato in Gazzetta ufficiale il 31 ottobre scorso. Quella che dai media è stata definita la norma “anti rave party”. Che questo non sia un problema primario e così pericolosamente esteso per questo paese è evidente, ma la questione a fare specie è sicuramente un principio di indeterminatezza intrinseco alla norma stessa. In effetti, il decreto legge è particolarmente vago, generico, difficilmente inscrivibile entro parametri ben definiti, rischiando, così facendo, che le norme potrebbero sconfinare e sfociare più facilmente di quanto si pensi oltre quei “perimetri applicativi” di cui si parla. La genericità del decreto legge la rende adattabile anche manifestazioni, assembramenti, riunioni di variegata natura nei più svariati luoghi altrui. Ciò è innegabile. Allora la domanda da porsi non è più soltanto cosa sia un rave party, ma più genericamente (cosa che quindi rischia di aver fatto proprio il Governo) chiedersi cos’è un raduno.
Riprendiamo il vocabolario online Treccani e leggiamo: “L’unirsi di più soggetti per un interesse in quel momento comune.” Di certo, sarebbe quantomeno particolare, se più di cinquanta persone riunite per una grande festa di compleanno o per un collettivo studentesco, genericamente condotti all’aperto (a meno di cattivo tempo), magari con dell’alcool ad accompagnare il rinfresco, fossero tacciati di aver organizzato una festa potenzialmente pericolosa per l’incolumità dei partecipanti.
Non è un rave, è un raduno, ma questo decreto legge “anti rave” potrebbe non far sconti a nessuno.
La fiammella di speranza è quella che il decreto, nel caso diventi legge, possa quantomeno essere emendato, per spazzare via quell’alone di genericità e pressappochismo che già fa male nel quotidiano, figuriamoci in una norma legislativa.