Quattro altri “successi” di Tante care cose: la recensione del nuovo-vecchio album di Fulminacci

Il nuovo Tante care cose
Il 12 marzo scorso è uscito il “nuovo vecchio” album di Fulminacci: Tante Care Cose e altri successi. Le dieci tracce registrate in studio e pubblicate nel 2021 sono state arricchite da altri quattro brani: Brutte compagnie, Chitarre blu, Sembra quasi e Aglio e olio (con Willie Peyote).
Anche la setlist dell’album e l’ordine in cui sono state disposte cronologicamente lungo il disco ha subito una variazione: Meglio di così, ad esempio, che nell’edizione 2021 era al primo posto come apertura, nell’edizione aggiornata odierna occupa l’ultima piazza.
Una scelta, quella di Fulminacci e Maciste Dischi, coraggiosa, che individua nei quattro pezzi d’appendice un completamento del lavoro iniziato un anno prima con Tante care cose.
Andiamoli ad analizzare assieme e capiamo se è stata una scelta azzeccata inserirli in un album già “vecchio” per aggiornarlo o se fosse stato meglio rilasciarli come EP.

Brutte compagnie e Chitarre blu
Brutte Compagnie è il primo singolo dei quattro presenti nella nuova edizione: è un brano estremamente preciso, variegato e particolare. Un’atmosfera catchy, con suoni specifici e immediatamente riconoscibili, porta Filippo a cantare parole che scivolano in modo ottimale su una linea musicale molto radiofonica. La denuncia mossa dal cantautore romano classe ‘97 è chiara: la comunicazione sterile, quando si capisce che di fronte a noi abbiamo persone poco stimolanti, difficili da comprendere perché ai nostri occhi estremamente noiose. Interessante anche il video che accompagna l’uscita di questo brano: in Brutte Compagnie, Fulminacci è un cowboy à la Sergio Leone, con tanto di ripresa laterale, cappello a tesa larga e sigaretta in bocca. Il brano per come lo pensa Filippo è una ballata da collocare dopo il finale di un film dark western, quando tutti i conflitti sono stati risolti e il protagonista è bello e felice.
“Quando ho scritto questo brano ero da solo ma non ci volevo stare. Ho deciso di raccontare una stagione della mia vita con la grinta di un bambino”, spiega. “È un viaggio domestico alla scoperta di cose che già sapevo. Ma mi andava tantissimo di farlo”.
È il grido nascosto del giovane che è dentro (e fuori) di lui, ma su cui tutto il pubblico più adulto può rispecchiarcisi. Ed è un po’ questa la forza di Fulminacci, che a salvarti ci sarà sempre “la notte, la musica pop dentro l’iPhone”, sia che tu abbia 20 che 50 anni.
E poi arriviamo a Chitarre blu. Fulminacci ha questa capacità, incredibile, di passare da un argomento scanzonato ad un brano che indaga l’inconscio, il profondo di un rapporto sentimentale. Chitarre blu, il secondo singolo rilasciato, concentra dentro di sé varie anime. Un lento piano e voce apre, un ritornello con la cassa dritta ti fa entrare vistosamente nel pezzo per poi ritornare ad essere lento nuovamente. È il voler snaturare un brano già di per sé complesso che rende Fulminacci un artista poliedrico e Chitarre blu rappresenta esattamente questa sensazione e sentimento.
Una canzone che si discosta parecchio dalle atmosfere del secondo disco, che ci ha ricordato un incrocio tra Una Sera (per la parte più didascalica) e La soglia dell’attenzione, invece, per il ritornello. La scelta è comunque vincente e anche il testo ha il suo perché.
Sembra quasi e Aglio e olio
Sembra quasi è un interludio; un intermezzo. Una parentesi, lunga, di una vita. Un classico chitarra e voce, pienamente cantautorale. Un Fulminacci maturo, capace di creare sensazioni utopiche, sopraeleva il concetto di bellezza musicale con un brano che sicuramente dal vivo farà il suo effetto decisivo. Rappresenta la distanza, la voglia di voler quella persona ma che è difficile incontrarla dal vivo e si cerca di colmare questo vuoto, incapaci, anche in maniera inconsapevole, di riuscire a incontrarsi di nuovo. Una ballad che nella nuova configurazione di setlist dell’album occupa una posizione non del tutto casuale: essa, infatti, è posta tra Le biciclette e Santa Marinella, che compongono, così facendo, un trittico a sé stante. La voce e il testo sono preponderanti in tutti e tre i brani e la tematica della distanza è quella più cara. Questa presenza ideale, però, ha plausibilmente un lieto fine, poiché a Santa Marinella, alla fine, il cantautore non ci andrà da solo.
Due come i componenti di una pasta facile da cucinare, pregevole al gusto: l’aglio e olio, che a Roma riscuote sempre un notevole successo se fatta con i giusti crismi. E due sono anche i cantanti di Aglio e olio, ultimo dei nuovi brani presenti in Tante care cose e altri successi: Filippo e il featuring con Willie Peyote. A nostro giudizio la meno riuscita tra le quattro novità proposte da casa Maciste Dischi: il brano è orecchiabile, ma sembra che Fulminacci e Willie Peyote non si siano miscelati poi così tanto bene. Paiono essere due entità ancora troppo distanti, soprattutto quando entra in scena il cantautorapper torinese, che non ingrana nella giusta direzione, anche dal punto di vista testuale.
In generale, Tante care cose era già un album di per sé molto solido e con queste quattro aggiunte è divenuto sicuramente uno dei punti di riferimento del nuovo indie italiano. Alcune scelte di continuità cronologica di setlist sono discutibili (la stessa Aglio e olio prima di Forte la banda stona un po’) ma nel complesso si rivela azzeccata la scelta di inserirle come appendici all’album già pubblicato un anno prima. In effetti questi quattro pezzi fanno tutti parte di un periodo storico ben preciso: il coronamento e continuamento di un album aggiornato al 2022 in modo intelligente, con quattro chicche e novità che allungheranno anche la scaletta in vista dei concerti di maggio previsti in tutto lo Stivale.