Ero in una boy band…
Che fine hanno fatto le boy band?
“Soffro lo stress, io soffro lo stress, sono stanco e fuori forma/ Suono in una boy band, suono in una boy band/ Ci deve essere un errore”. Così cantavano, nel 2001, i Velvet, nota “boy band” atipicamente italiana; chi, tra di noi, generazione anni Ottanta – e chi è senza peccato scagli la prima pietra – non si è ritrovato a cantare a squarciagola le hit che scorrevano ininterrotte su MTV, a mimare le coreografie, o, peggio ancora, a piangere lacrime amare e strappare in mille coriandoli i poster degli idoli al momento della loro, inattesa quanto benefica (per la collettiva sanità mentale) separazione?
Gioia e disperazione: dai Beatles agli N’Sync
Eppure non è cosa ignota al pubblico di tutti i tempi: basti pensare agli anni Settanta, quando i Beatles, la boy band più celebre e amata al mondo, decisero di mettere fine al loro sodalizio artistico, per percorrere strade separate. Scene isteriche, incomprensibili dietrologie, ma soprattutto la disperazione dei fan dei sei continenti, increduli e storditi, impietriti da quello che avrebbe potuto rappresentare la vita musicale dopo di loro: una lugubre valle senza suoni. Invece, tra sodalizi e momenti di amarcord, le loro vite e le nostre hanno continuato ad intrecciarsi in una prolifica colonna sonora che ancora ci accompagna.
Le boyband, tra ricordi musicali e corteccia cerebrale
Caso diverso per le band degli anni Novanta e Duemila: veri esperimenti antropologici e sociologici costruiti per lo più a tavolino dalle case discografiche, sull’onda della moda e del successo, si sono rivelati nella maggior parte dei casi, dei fuochi fatui, o delle vere e proprie meteore, che tuttavia hanno forgiato il nostro orecchio musicale e determinato i nostri gusti. Lo affermano importanti studiosi e musicologi, e lo confermano importanti analisti (non ultimo Seth Stephens-Davidowitz): i brani che ascoltiamo tra i tredici (per le femmine) e quattordici anni (per i maschi), quindi nel pieno periodo dello sviluppo, impregnano indelebilmente la nostra corteccia cerebrale, influenzando significativamente, e malgrado noi, il nostro futuro universo sonoro.
Oltremanica e oltreoceano
A nostra discolpa, i Take That (1990- 2014, con qualche schizofrenica parentesi di abbandoni e riprese, soprattutto da parte dello scalpitante Robbie Williams, e l’abbandono definitivo nel 2014 da parte di Jason Orange), intelligente creazione del perspicace produttore Nigel Martin-Smith, hanno comunque impresso una variegata e sempre elegante musicalità che fa rimpiangere i bei tempi passati ad ascoltarli.
I fenomeni europei che hanno seguito l’impronta dei Take That, sebbene senza raggiungere il loro universale e incontestabile successo, hanno comunque mantenuto un’aura di intelligenza musicale che differisce grandemente dall’atmosfera delle boy band americane.
I Boyzone (1993-2000) e i longevi quanto più anonimi Westlife (1998-2012), la copia irlandese e un po’ più sdolcinata dei Take That, seguiti poi dagli East-17, dalle sonorità r&b e funky, dai Five, e dagli ancor meno dinamici Blue (2001-2005), hanno comunque detenuto lo scettro della longevità, sapendo, grazie anche ad una sufficiente qualità musicale, superare gli impervi scogli delle classifiche e delle nuove, imperanti, tendenze musicali. Cosa dire, poi, degli indimenticabili (invece dimenticatissimi) Ultra (1998-2006, con qualche intermedia pausa di riflessione) ? Britannici e prestanti, compagni di università animati dalla passione del canto, decidono di unirsi per il bene comune della musica, lasciandoci in eredità Say it Once, il singolo in cui si danno alla navigazione.
Altro discorso, dicevamo, per la parte oltreoceano: i gruppi americani, noti per le loro tendenze più inclini al rap e alle sonorità soul, rappresentano una diversa declinazione musicale. Si comincia dai Blackstreet e dai 3T (i nipoti di Michael Jackson, attivi fino al 2015, dopo quasi un trentennio di attività e che ancora continuano ad allargare la grande famiglia del pop con progetti), per approdare ai Backstreet Boys e agli N’Sync. Dei primi, si ricordano a memoria praticamente tutti i singoli, un vero ed eclatante successo planetario; dei secondi, la bellezza di Justin Timberlake, tanto da far sospettare che il gruppo sia stato creato per mettere in risalto le qualità del frontman, che ha a buon diritto continuato una brillante carriera in molti ambiti, riuscendo con successo in tutti.
Ora non resta che attivare discretamente il lettore musicale e, senza che ne rimanga traccia alcuna, rispolverare alcune delle perle che ci hanno fatto emozionare e che hanno indelebilmente tatuato i nostri ricordi musicali. “Everything changes, but you…”