Sarà ancora un Europa a 27? L’Ungheria di Orban vacilla sul piano di sostegno all’Ucraina e sul Rearm Eu

“Gli ungheresi avranno voce in capitolo sull’adesione dell’Ucraina all’Unione europea” con queste parole il primo ministro ungherese Viktor Orbán ha parlato ai giornalisti al margine del vertice di tutti i 27 leader dell’UE a Bruxelles in cui l’Ungheria è stato l’unico stato membro a rifiutare di approvare una dichiarazione congiunta a sostegno dell’armamento dell’Ucraina.
Orbán ha giustificato il suo voto contrario sulla dichiarazione congiunta del vertice europeo dei Capi di Stato e capi di governo affermando che il suo governo avrebbe chiesto agli ungheresi, tramite consultazione popolare, di decidere loro sul sostegno all’adesione di Kiev all’UE. Una presa in giro quella escogitata dal presidente Ungherese, vicino a Vladimir Putin e alle posizioni Statunitensi riguardo l’andamento del conflitto ucraino, che ha suscitato indignazione in seno alle Istituzioni europee nonché in seno al partito popolare europeo dove il capogruppo del Partito, il tedesco Manfred Weber ha chiosato contro le posizioni del presidente ungherese rivolgendosi direttamente al presidente chiedendogli “di decidere se stare nell’Unione o se uscire”.
La consultazione popolare per “decidere” il futuro dell’Ungheria
Dal 2010 il governo Orbán ha avviato oltre una dozzina di cosiddette consultazioni nazionali su una varietà di questioni, dalla migrazione ai diritti LGBTQ+. Si tratta di campagne di posta in cui tutti gli elettori ungheresi ricevono dei quesiti referendari che pongono domande e li invitano a scegliere da un elenco di risposte “predeterminate” che il più delle volte si limitano ad essere un semplice sì o no. I quesiti sono spesso formulati in modo introduttivo e la stragrande maggioranza delle risposte tende ad allinearsi con la posizione del governo, secondo i media ungheresi, con l’opposizione e la società civile che le accusano di essere strumenti di propaganda. Nei fatti i risultati non sono giuridicamente vincolanti, e quindi vengono utilizzati per rafforzare le posizioni del governo Orbán su questioni divisive, che secondo il leader ungherese “sono sostenute dalla maggioranza dell’elettorato”.
“Per la prima volta, gli ungheresi hanno la possibilità in Europa di decidere se sostenere o meno l’adesione dell’Ucraina all’UE“, ha detto venerdì il portavoce del governo ungherese Balázs Orbán.
L’atteggiamento di Orban divide l’Unione
I leader dell’Unione europea hanno approvato il sostegno militare all’Ucraina, ma senza il sostegno del primo ministro ungherese Viktor Orbán. Nel vertice di emergenza giovedì a Bruxelles, Orbán, che non ha nascosto la sua ammirazione per il presidente russo Vladimir Putin, ha posto il veto sulla risoluzione a livello europeo per sostituire gli aiuti militari americani con aiuti militari europei.
“Raggiungere la pace attraverso la forza richiede che l’Ucraina si trovi nella posizione più forte possibile, con le solide capacità militari e di difesa dell’Ucraina come componente essenziale”, si legge nella dichiarazione congiunta dei 26 Stati membri. “L’Unione europea rimane impegnata, in coordinamento con partner e alleati che condividono gli stessi principi, a fornire un maggiore sostegno politico, finanziario, economico, umanitario, militare e diplomatico all’Ucraina e al suo popolo”.
Una posizione netta degli Stati membri che sembrerebbe scontrarsi invece con l’atteggiamento avverso del presidente Ungherese che invece è un sostenitore e fautore di una riconciliazione tra l’Unione europea e la Federazione Russa, posizione ad oggi irraggiungibile per le Istituzioni di Bruxelles visto l’atteggiamento della Federazione.
Cosa accadrà con il Rearm Europe
Ursula von der Leyen ha annunciato alla conferenza dei capigruppo dell’Eurocamera l’intenzione di voler bypassare il voto del Parlamento europeo sul piano ReArm Europe utilizzando l’articolo 122 dei trattati dell’Unione europea, che permette all’esecutivo Ue di portare un testo direttamente al Consiglio Ue, senza il passaggio in aula, in caso di emergenze o catastrofi.
La Commissione Europea ha accelerato il progetto di difesa europea presentando il piano per la rivitalizzazione della difesa del Vecchio Mondo, che senza gli americani ormai è in grado di fare in autonomia poco o nulla. Un piano da circa 800 miliardi di euro in investimenti per la difesa europea che nel prossimo quadriennio dovrà sostenere il riarmo europeo per fronteggiare le minacce provenienti dalle frontiere esterne all’Unione.
Il ReArm EU proposto dalla presidente della Commissione ai Capi di Stato e di governo prevede cinque punti: i)spese per la difesa escluse dai parametri dal Patto di stabilità; ii) debito europeo per fornire prestiti agli Stati a interessi più bassi; iii) destinazione alla difesa di parte dei fondi di coesione già programmati; iv) investimenti privati grazie al Mercato unico; v)finanziamenti della Banca europea degli investimenti.
In realtà, tuttavia, già i primi due punti raggiungerebbero, nelle intenzioni, gli 800 miliardi. Il resto sarebbe evidentemente marginale, caratterizzato da alta complessità politica, incertezza o volumi molto ridotti. Il cuore della proposta sta dunque nel maggior debito pubblico, nazionale ed europeo che gli Stati membri dovrebbero sostenere al fine di introdurre investimenti in tempi rapidi evitando, tuttavia, di introdurre misure impopolari come l’aumento delle imposte o il taglio di altre voci di spesa che colpirebbero l’opinione pubblica.
La proposta presentata da Von der Leyen è però estremamente frammentata riguardo le fonti del finanziamento comune. Solo un sesto dei fondi arriverebbero da bond europei, sul modello che è stato il programma SURE per finanziare i sussidi di disoccupazione durante la pandemia, mentre il resto, 650 miliardi di euro, sarebbe frutto di debito pubblico nazionale escluso dai parametri del Patto di stabilità. Non dovrebbe quindi rispettare i limiti alla crescita della spesa netta da poco introdotti né i parametri del 3% del deficit annuo e del 60% di debito pubblico rispetto al PIL.
Questo significa che gli Stati maggiormente indebitati o con bilanci meno equilibrati come Italia e Francia in testa rischiano di avere meno spazio fiscale per incrementare la spesa per la difesa. Se si vuole raggiungere la cifra-obiettivo di 800 miliardi, nel 2026, a metà del piano quadriennale di riarmo, solo la Germania rimarrebbe con un deficit sotto il 3% tra i grandi Paesi europei; Francia e Polonia supererebbero il 6, mentre Italia e Spagna arriverebbero al 4.
In secondo luogo, il debito nazionale non garantisce di per sé una maggiore cooperazione tra le aziende nazionali per ridurre la frammentazione dei sistemi d’arma. Un risultato efficacemente raggiungibile, invece, con il debito europeo, potrebbe essere ottenuto ricalcando il modello Next Generation EU con programmi di spesa pre-determinati. Tuttavia, in questo secondo caso, i paesi come l’Ungheria di Orban potrebbero porre in seria difficoltà la ripartizione dei fondi di investimento e del piano europeo che andrebbero incontro a una negoziazione continua e a una minaccia di “veto” che non sarebbe tollerata dagli altri 26 paesi che invece vogliono “correre” per tutelarsi dalla Federazione russa. Il finanziamento europeo, per essere efficace, dovrà manifestarsi attraverso iniziative che faranno parte di un approccio strutturato, fatto di identificazione comune delle aree di intervento, programmi di ricerca e sviluppo cooperativi, raggiungendo l’obiettivo del 20% fissato dall’Agenzia europea della difesa per le acquisizioni di sistemi europei di difesa.
Ecco perché le divisioni politiche interne all’Unione non saranno più tollerate dalle Istituzioni e dagli altri Stati membri e se l’atteggiamento di Orban, anche sul piano di riarmo proposto dalla Commissione, dovesse rimanere quello del “guastatore” piuttosto che quello del “costruttore” di un percorso comunitario di difesa e tutela comune, uno scenario di un’Unione europea priva dell’Ungheria, con una Hungarexit, diverrebbe attuale e difficilmente eludibile