Quale futuro attende la regione Mediorientale e quale saranno le prossime alleanze a geometrie variabili dei player regionali?
Con la fragile tregua firmata nella scorsa settimana tra Israele e Hamas, dopo due anni di guerra che hanno insanguinato la striscia di Gaza e provocato più di 45 mila vittime dal 7 ottobre 2023, quale futuro possiamo immaginare per la regione e nei rapporti tra Israele, Iran e i paesi che costituiscono l’asse della resistenza?
Il 2024 è stato un anno di grandi cambiamenti in Medio Oriente e certamente la regione da questi mutamenti è stata investita con la ridefinizione dei rapporti di forza tra i grandi attori politici della regione. A partire dall’attacco di Hamas a Israele del 7 ottobre 2023, le conseguenze più ampie di questa svolta si sono in gran parte viste nel 2024, dalla Striscia di Gaza, fino alla guerra con Hezbollah, gli Houthi, lo scontro frontale tra Israele e le colonie dell’asse della resistenza si è ampliata oltreché a Gaza anche al Libano e, più o meno indirettamente, a Siria, Iraq, Yemen e Iran.
Fino a un anno fa, la regione vedeva contrapporsi due schemi strategici: da una parte il cosiddetto Asse della resistenza, ovvero l’insieme di movimenti, milizie e governi vicini alla Repubblica islamica dell’Iran, tra cui Hezbollah in libano, Hamas a Gaza e le unità di mobilitazione popolare in Iraq che permettevano a Teheran di attuare la sua cosiddetta “difesa avanzata” nella regione; mentre dall’altra il progetto sostenuto dagli USA di un fronte anti-iraniano, incentrato sulla normalizzazione dei rapporti tra Israele alcuni paesi arabi. Oggi, e dopo due anni di guerra, l’architettura politica e della sicurezza mediorientale sembrerebbe essere in continuo mutamento.
Lo scontro fra l’asse della resistenza, l’Iran e Israele
Uno dei maggiori cambiamenti avvenuti in Medio Oriente nel 2024 è stato senza dubbio l’innalzamento del livello di scontro tra Israele e Iran, con i due paesi, che sebbene si siano considerati reciprocamente avversari strategici, nella loro storia non sono, prima del 7 ottobre 2023, mai arrivati così vicini a uno scontro aperto e totale. Per tutto il 2024 ci sono stati “scambi di fuoco” tra Israele e le forze filoiraniane nella regione, come Hezbollah in Libano, il movimento degli Houthi in Yemen e varie milizie pro-Teheran in Iraq e in Siria, ma a questa guerra indiretta si sono affiancati momenti di guerra aperta fra Tel Aviv e Teheran, con lanci reciproci e diretti di droni e missili. Un’assoluta novità nel conflitto regionale se si considera l’inedita di questi eventi impensabili fino a un anno fa, soprattutto per il cordone sanitario costruito dall’Iran attorno Israele.
Israele ha potuto colpire direttamente la Repubblica islamica principalmente perché ha indebolito sensibilmente l’Asse della resistenza, creato negli anni da Teheran con l’idea di “esternalizzare” le proprie linee di difesa e creare un perimetro di deterrenza nei confronti dello Stato ebraico. Prima del 7 ottobre 2023, la dottrina della “difesa avanzata” iraniana, basata sull’assunto di espandere l’influenza di Teheran oltre confine per garantire la profondità strategica dell’Iran tramite i suoi proxy, è stata il fulcro della dottrina militare iraniana; tuttavia, a seguito degli eventi della guerra tra Israele e i proxy iraniani oggi questa “difesa avanzata” sembra stia assumendo un nuovo contorno lasciando più autonomia agli alleati al fine di deresponsabilizzare l’Iran dalle loro azioni.
Nel corso degli ultimi anni, infatti, Teheran ha attuato una forma di decentralizzazione delle decisioni militari passando da una gestione dell’Asse in modo verticale, attraverso l’imposizione di ordini diretti, a una struttura più orizzontale e decentralizzata che favorisce una maggiore autonomia operativa da parte dei membri. Questa scelta è stata dettata da molteplici fattori, soprattutto a seguito sia delle crescenti dimensioni dell’Asse che stanno rendendo sempre più difficile la gestione centralizzata dell’alleanza, che soprattutto dopo che i vari leader delle milizie filoiraniane hanno assunto ruoli politici nei loro paesi di origine.
Deresponsabilizzare permette a Teheran di avere più “comandanti e leader locali” capaci di perpetrare la sua pressione sulla regione Mediorientale anche quando uno o più elementi di comando può essere eliminato come accaduto in questi ultimi anni di conflitto. D’altronde le operazioni israeliane di ricerca ed
eliminazione dei leader regionali dell’asse, come accaduto in Libano contro Hezbollah con l’eliminazione Hassan Nasrallah, ucciso a settembre a Beirut, oppure di Ismail Haniyeh, ucciso addirittura a Teheran, e di Yahya Sinwar considerato la “mente” dell’attacco di Hamas a Israele, hanno condotto Teheran ad approcciare un approccio più orizzontale e di “mutua assistenza” fra i vari membri, facendo emergere più figure “eminenti” all’interno dell’asse.
Tuttavia, sebbene la deresponsabilizzazione nella nuova strategia politico militare abbia una strategicità nel far crescere i proxy regionali rendendoli veri e propri attori nello scenario geopolitico in grado di mettere in difficoltà direttamente i rivali regionali, la strategia di Teheran ha subito una notevole battuta d’arresto con il rovesciamento, tanto repentino quanto sorprendente, del regime di Bashar Al-Assad in Siria, storico alleato regionale di Teheran, assestando al regime degli Ayatollah un duro colpo nella continuità territoriale, politica e religiosa di quello che, per anni, era stato considerato l’unione Sciita che, partendo dall’Iran passava tramite Iraq, Siria e Libano.
Quale Medioriente dobbiamo aspettarci?
La guerra innescata il 7 ottobre ha avuto come effetto quella di bloccare i colloqui per la normalizzazione
delle relazioni tra Arabia Saudita e Israele nel quadro degli Accordi di Abramo, patrocinati dagli USA sotto
la prima amministrazione di Donald Trump. L’adesione di Riad all’intesa doveva essere il culmine di un’iniziativa che aveva già coinvolto altri paesi della regione Mediorientale quali gli Emirati Arabi Uniti e il
Bahrein e che aveva come obiettivo quello di spezzare l’accerchiamento da parte dell’Iran, del Libano e della Siria nei confronti di Tel Aviv ed impegnati a costituire la loro zona di influenza regionale definita come la nuova mezza luna sciita.
Quella diplomatica era la cornice di un’operazione con cui gli americani avevano inteso spingere i propri
alleati del Golfo ad affidare la propria sicurezza a Israele e, allo stesso tempo, contenere l’Iran a livello
regionale. Oggi, a più di un anno di distanza, nessuno dei paesi arabi, che a livello ufficiale sostengono i
palestinesi, si sono defilati ufficialmente dall’intesa, e neanche Riad esclude un suo futuro ingresso, sintomo che nel prossimo futuro il Medioriente potrebbe diventare una regione dove, nuove forme di alleanze inedite potrebbero trovare terreno fertile per cementificare “nuove alleanze a schemi variabili” che vedrebbero contrapposti, dalle superpotenze mondiali, Cina, Federazione Russa e Stati Uniti, fino ai player regionali come, Israele, Iran, Arabia Saudita fino ai gruppi locali o Proxy.
Sebbene il quadro diplomatico e di sicurezza regionale sembra essere ben delineato soprattutto con l’intenzione dell’Amministrazione Trump di rilanciare gli accordi di Abramo e pacificare definitivamente la
situazione Mediorientale, anche a maggior ragione del fatto che Hamas, Hezbollah e il regime di Assad sono stati ridotti ai minimi termini dalla guerra con Israele, è bene mantenere il focus sulle attività diplomatico- propagandistiche che sta compiendo Teheran per cercare di mantenere la posizione di influenza sulla regione non abbandonando la realizzazione della Mezza luna sciita.
Dall’avvicinamento alla Federazione Russa, fino alla propaganda militare, Teheran sembra non voler
abdicare alla sua influenza e sta cercando di ricostituire un nuovo asse della resistenza che, oltre alle milizie filo iraniane, sembrerebbe voler coinvolgere più attivamente nelle questioni regionali le Super potenze ostili a Washington, come la Federazione Russa, diventando per Mosca, dopo la caduta degli Assad in Siria, il partner privilegiato con il quale condurre operazioni di raccordo intessendo nuove alleanze, nonché di destabilizzazione del nuovo equilibrio intessuto nei piani dall’asse Israeliano e Statunitense nella regione. Per rendersi agli occhi di Mosca un Player regionale determinante per gli equilibri internazionali, soprattutto per la funzione di destabilizzazione degli accordi di Abramo, Teheran sta guardando in particolar modo a intessere nuovi e più profondi rapporti con vecchi/nuovi alleati regionali come l’asse Iran-Iraq con le milizie paramilitari Hashd al-Shaabi che appaiono, soprattutto in questi ultimi anni, ben più che mere milizie sciite innestatesi all’interno delle forze di sicurezza irachene (Fsi) nonché all’interno dello stato iracheno stesso.
Nate nel contesto della guerra civile irachena, in risposta all’appello del 13 giugno 2014 dell’Ayatollah Ali al- Sistani al Jihād contro lo Stato Islamico, le milizie Al Shaabi con il passare del tempo hanno aumentato il loro peso specifico sia all’interno dell’apparato statale iracheno che all’interno della rete di attori allineati a Teheran, espandendo notevolmente le proprie capacità operative, le risorse nonché i contatti e collaborazione con Teheran. L’influenza iraniana nella politica irachena attuale è innegabile se si analizza la forza della coalizione politica sciita Alleanza di Fatah, composta da molti membri delle PMF, che è in larga maggioranza legata all’ayatollah iraniano Khamenei, un segnale maggiore che pertanto, non può che essere letto come un ulteriore ampliamento dell’area e delle intese che stanno contraddistinguendo i rapporti alleati Iracheni-Iraniani nella regione Mediorientale.
Non solo l’Iraq, i nuovi alleati che possono aiutare l’Iran a ricomporre un equilibrio favorevole a Teheran
nella regione, possono essere gli houthi dello Yemen che oggi rappresentano il pianeta più esterno della
costellazione di attori armati alleati dell’Iran. Il movimento-milizia yemenita conserva con l’Iran una
notevole convergenza politica, economica e di visione del mondo alternativo a quello disegnato da Israele e dagli Stati Uniti. La lotta a Israele, agli Stati Uniti, nonché il più generale sentimento antioccidentale e l’astio religioso contro l’Arabia saudita e il salafismo, che si oppongono alla dottrina coranica degli Zaiditi in Yemen, sono i punti di contatto tra Iran e Houthi.
A seguito dell’intervento della Coalizione araba a guida saudita nella guerra civile yemenita del 2014 a
sostegno del governo Hadi, il sostegno militare dell’Iran agli houthi è divenuto via via sempre più massiccio e costante attraverso la fornitura di armi e l’addestramento dei combattenti, cui hanno partecipato anche i miliziani di Hezbollah dispiegati in Yemen. L’alleanza fra houthi e Iran è iniziata, pertanto, come una alleanza in chiave anti-saudita, ma in questi anni si sta polarizzando sempre di più come alleanza strategica per combattere il nuovo ordine regionale Mediorientale con il movimento armato yemenita che sfrutta la vicinanza a Teheran per rafforzarsi internamente conquistando il potere politico; mentre l’Iran acquisisce una finestra geopolitica sul Mar Rosso attraverso cui mettere sotto pressione i “nemici occidentali e del Golfo” attaccandone commercialmente le merci e i flussi commerciali verso il Canale di Suez rendendo impraticabile la navigabilità nel Mar Rosso, dove transitano circa il 40% dei commerciali mondiali.
Gli houthi, pertanto, in questa nuova fase del riposizionamento regionale dell’Iran, possono diventare pedine fondamentali sulle quali Teheran può contare come alleati che condividono con Teheran una visione del mondo e un comune orizzonte strategico di un Medioriente Jihadista antisraeliano, antistatunitense e anti-saudita. La dottrina della “difesa avanzata Iraniana” sembrerebbe orientarsi quindi, in questa fase di riallineamento, lungo due direttive centrali quali l’Iraq, che rappresenta la “porta orientale del mondo arabo” e viene considerata come un potenziale territorio cuscinetto utile nella competizione e nel contenimento di quello che dovrebbe essere, secondo Teheran, il nuovo Medioriente Israeliano, Arabo saudita e Statunitense degli accordi di Abramo; e gli Houthi yemeniti che costituiscono invece una minaccia costante per i paesi del Golfo, l’Arabia Saudita ed Emirati arabi uniti su tutti, che rappresentano i due player regionali maggiormente propensi a normalizzare rapporti con Tel Aviv.
Con la caduta della Siria di Assad, l’apparente sconfitta di Hezbollah, nonché l’annichilimento militare e
territoriale dei gruppi palestinesi nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania, per Teheran, pertanto, diventa
fondamentale un suo riposizionamento strategico in Medioriente che sembrerebbe passare per il
rafforzamento dei rapporti con l’Iraq e gli Houthi Yemeniti, che rappresentano, ad oggi, gli unici attori capaci di rappresentare una minaccia costante nei confronti di Israele e dei suoi alleati privilegiati, i paesi del Golfo, in un Medioriente sempre più in fiamme e instabile e sulle quali Teheran non sembra voler rinunciare a voler ricostituire i confini dell’Antica Persia sciita.