Guerre dell’acqua. Il Nilo al centro di dispute identitarie

Il fiume più lungo del mondo, il Nilo, le cui acque attraversano 11 diversi paesi e sono fonte di vita per 300 milioni di persone, è fin da tempi antichi al centro di lotte di potere, che hanno oggi radici politiche ma per lo più identitarie. Nell’immaginario collettivo il grande fiume è associato all’Egitto, che ne rivendica da secoli il predominio esclusivo, e la storia di antico splendore della civiltà egiziana, che lo storico greco Erodoto definisce un “dono del Nilo”, dovuto in buona parte alle inondazioni delle sue acque sembra dargli ragione. Ma la geografia e la geopolitica raccontano un’altra realtà.
Dei suoi due rami distinti, il Nilo Bianco, che convenzionalmente nasce dal Lago Vittoria in Uganda, e il Nilo Azzurro, che invece nasce come emissario del Lago Tana in Etiopia, scorre fino a Khartoum in Sudan per poi arrivare in Egitto, quest’ultimo è quello con la portata notevolmente maggiore, 2.400 m³ al secondo; tre volte superiore al primo. Ed è quello su cui si concentrano le dispute più pericolose, capaci di minacciare la stabilità dell’intera regione. Il 2 Aprile del 2011 è iniziata la costruzione della Grand Ethiopian Renaissance Dam, ambizioso progetto etiopico che con i suoi 1800 metri di lunghezza, 170 di altezza e con una capacità stimata di contenere 74 miliardi di metri cubi, punta ad essere la diga più grande dell’intero continente africano. Simbolo di progresso, unità e prosperità per gli uni, affronto e minaccia per gli altri. Spesso infatti le scelte fatte a monte possono comportare gravi conseguenze a valle. La diga, il cui quarto riempimento è stato completato nel settembre dello scorso anno sebbene varie difficoltà nel procedimento dei lavori e grazie ad un’efficace campagna di mobilitazione che ha coinvolto tutta la popolazione, è vista dall’Egitto come una minaccia esistenziale. E il paese da subito si è dichiarato pronto ad intervenire militarmente, promettendo una instabilità senza precedenti nella regione del corno d’Africa, già fragile e dilaniata da conflitti.
All’inizio del XX secolo l’Egitto costruì la diga di Assuan, la prima grande diga mai edificata sul Nilo, che permise al paese di far decollare la produzione agricola, aprendogli le porte della modernità. La stessa speranza che ora anima gli etiopi, il 65% dei quali vive senza elettricità, nonostante il Nilo come vicino di casa. Il che li rende grandi sostenitori del progetto. Sebbene la diga abbia cominciato a produrre elettricità nel febbraio 2022, pochi villaggi ne hanno finora beneficiato. La maggior parte di essa viene venduta ai paesi vicini, vista la necessità dell’Etiopia di incamerare valute straniere nelle proprie casse.
Ma alla base della GERD vi è una questione soprattutto identitaria, oltre che strategica ed economica. La diga ha rappresentato una grande occasione per il premier etiope Abiy Ahmed, che ha costruito la sua popolarità sulla promessa del compimento del grande progetto, tentando di unire sotto quello che è diventato un simbolo di orgoglio patriottico ogni fascia della popolazione, in ogni angolo del paese. Ruolo propagandistico che appare rafforzato dalla guerra civile in Tigray, che ha causato un maggiore isolamento internazionale di Addis Abeba. Isolamento che aveva accompagnato il paese già dai primi tempi dall’apertura dei cantieri; nessun investitore e donatore internazionale voleva inimicarsi l’Egitto, importante partner commerciale ma soprattutto garante della stabilità della regione, ed in grado di minacciarla. Fin dal 1959, ai tempi del Presidente Nasser, Il Cairo si era garantito il controllo sulle acque del Nilo, firmando un trattato storico con il Sudan, ampiamente favorevole all’Egitto, che confermava la sua egemonia sul fiume. L’Etiopia ne era stata esclusa, nonostante, data la sua posizione geografica, abbia il potere di decidere unilateralmente la quantità d’acqua da rilasciare a beneficio dei propri vicini.
Il dialogo sembrava essersi avviato nel marzo del 2015, quando i leader di Egitto, Etiopia e Sudan hanno firmato a Khartoum la “Dichiarazione di principi”; la questione centrale era la regolamentazione delle acque del Nilo. La costruzione della GERD poteva continuare, ma i tre paesi avrebbero dovuto raggiungere un accordo sul suo riempimento e sulla sua gestione. L’entusiasmo si esaurì presto, invano si è cercato di trovare equilibri nei nuovi rapporti di forza, favorevoli ad Addis Abeba che ha continuato unilateralmente verso il completamento del progetto. Mentre Il Cairo, con l’appoggio di Khartoum, moltiplicava le operazioni nei pressi del confine Sudan-Etiopia, a circa 30 km dalla diga.
Con le negoziazioni in totale stallo e l’Etiopia che si prepara a completare, ancora unilateralmente, il quinto ed ultimo riempimento della diga, aumentano le preoccupazioni dell’Egitto, già rivolte alla catastrofe umanitaria a Gaza, e del Sudan, dove è in corso una lacerante guerra civile. Sempre più concreto il rischio di un’escalation militare.