Adorno: l’inganno dell’Illuminismo nel mito del progresso

Con l’“autodistruzione dell’illuminismo” Adorno denuncia non solo la crisi del pensiero critico e individuale, ma si spinge oltre, arrivando a dimostrare come un sistema razionale possa farsi autarchico, ripiegandosi su se stesso fino all’autodistruzione.
Adorno arriva a parlare di industria culturale. Qui il pensiero stesso finisce per ridursi a merce. È in questa prospettiva che la riflessione critica perde anzitutto il suo linguaggio, la sua valenza oppositiva, e che la censura diventa superflua. Il pensiero individuale non sa più essere contraddittorio, perché totalmente soggiogato dal sistema produttivo di massa.
L’autodistruzione dell’illuminismo è il risultato della presunzione illuministica, della sua incapacità di riconoscersi in regressione verso il mito. «Quanto ci eravamo proposti era nientemeno che di comprendere perché l’umanità, invece di entrare in uno stato veramente umano sprofondi in un nuovo genere di barbarie». Così Adorno e Horkheimer aprono la Dialettica dell’Illuminismo.
Mythos e logos: la dialettica della realtà
L’illuminismo si è progressivamente trasformato in un sistema «totalitario», riducendo la verità a ciò che si presta alla dimostrazione empirica e distruggendo allo stesso tempo la propensione conoscitiva alla metafisica. Escludendo e negando l’estraneità alla dimostrazione empirica si presenta come niente di più che un sistema, nel quale l’universo è ridotto a calcolabilità.
Nella riflessione di Adorno e Horkheimer, mythos e logos sono inseparabili, si implicano a vicenda. A tal punto che il disconoscimento delle sue origini nel mito e ciò che ha contribuito al deterioramento del pensiero illuminato.
Mythos e logos si appartengono nella misura in cui solo a partire dall’istituzione del sacro ha avuto inizio la parola intesa come espressione, capace di dare un nome alle cose, attribuendo ad esse un carattere conoscitivo.
In questo processo era già implicitamente coinvolto la matrice dialettica del linguaggio e della realtà stessa: continua reciprocità tra fenomeno e significato. Il limite dell’uomo moderno sta proprio nell’incapacità di considerare questa dialettica del reale. Il perfezionamento tecnico della ragione in tutti campi del sapere mostra la desolante impotenza del pensiero, suggellata nell’insanabile paradosso messo in luce da Adorno, quello della «purezza impolitica del pensiero scientifico e la violenza incontrollata della prassi politica». La linea guida dell’illuminismo borghese è la sobrietà: il desiderio non può guidare il pensiero.
Esiste una relazione subdola tra illuminismo e dominio e Adorno vuole metterla in luce: se il mito riconosceva il dominio e la forza della natura, l’illuminismo nega invece questo dominio. Lo nasconde, finge che esso non esista, individuando nella tecnologia l’unica forma di potere esercitabile nell’ambito sociale e riguardante soltanto l’essere umano. Questo è il grande inganno celato dall’illuminismo, causa della sua autodistruzione.
In Odisseo l’uomo moderno: l’affermazione del Sé distrugge la sua soggettività
Avvalendosi della figura di Odisseo, Adorno analizza il legame tra il presente industrializzato e il passato, cercando di rintracciarvi la radice dell’errore commesso dalla società moderna, colpevole di aver sacrificato la propria essenza, purché si affermasse il Sé.
Nella società moderna, il passato deve essere immagazzinato come l’irrevocabile: bisogna impedire agli uomini di ascoltarlo, in modo da salvaguardare il perpetuarsi del dominio. La fantasia muore sotto il peso dell’adattamento alla potenza del progresso, che diventa quindi regresso agli stadi primitivi dell’umano.
Quale prezzo paga una civiltà che ha reciso i suoi punti di congiunzione con il passato per l’autoconservazione del Sé? A chiarirlo è il passaggio di Odisseo e i suoi compagni di viaggio davanti alle Sirene. Con questo episodio, Adorno esemplifica il processo di svilimento della comprensione critica nel nome della conservazione dell’Io.
Odisseo sceglie di ascoltare il canto delle Sirene e si fa legare all’albero della nave, ma decide di tappare le orecchie con la cera agli altri. Questi rispecchiano «i lavoratori che devono guardare in avanti e lasciar stare tutto ciò che è a lato». Dall’altra parte Odisseo invece, che più sentiva forte il richiamo delle Sirene più si faceva stringere alla nave, rappresenta le caste del potere, in grado di sentire e percepire qualcosa di diverso, ma che decidono di rimanere bloccate nella loro posizione di partenza. Il pensiero è così ridotto alla produzione dell’uniformità e quindi dell’omologo.
Il viaggio di ritorno di Odisseo da Troia ad Itaca è la metafora dell’autocostruzione del sé attraverso l’astuzia. Odisseo conosce la sua inferiorità rispetto alle forze contro cui dovrà imbattersi ma non demorde. Il sapere dell’uomo deriva dalla consapevolezza della sua identità. E nell’astuzia di Odisseo, Adorno rintraccia il carattere della società moderna, rivolta allo scambio razionale e in cui rientra la volontà di raggirare il sacrificio. Se nello stadio mitico, il sacrificio del sé avviene in nome della religione popolare, in quello razionalistico esso attinge la sua validità nel mito della civiltà, il cui fine consiste nel dominio dell’uomo su se stesso.
Questo dominio non fa che distruggere la soggettività dell’uomo: ciò che andrebbe salvaguardato svanisce sotto la pressione totalizzante dell’autoconservazione.
«La storia della civiltà è la storia dell’introversione del sacrificio. In altre parole la storia della rinuncia»: chi rinuncia alla sua vita non avrà mai in cambio qualcosa che la compensi. Odisseo, presentandosi a Polifemo, afferma se stesso rinnegandosi come nessuno. La scelta è tra ingannare e morire, l’inganno è lo stigma della razionalità. Odisseo è il simbolo della storia come cultura di addomesticamento della natura umana e incarna, in questo modo, il primordiale germe della regressione.