Le elezioni politiche in Groenlandia: i vincitori e i vinti della grande isola che vuole essere indipendente

A Nuuk, la capitale della Groenlandia, i manifesti elettorali sono comparsi solo in questi giorni, a ridosso delle elezioni che si sono tenute martedì 11 marzo per rinnovare il Parlamento locale. Le ragioni sono state sia di natura logistica, il vento gelato e la neve li rovinerebbero, sia legate a come funziona la campagna elettorale in un posto come la Groenlandia, isola estremamente vasta, ma con una popolazione di quasi 57mila abitanti sparpagliata tra Nuuk, dove vivono poco meno di 20mila, e città e insediamenti sulle coste che non sono collegati da strade, ma raggiungibili solo in aereo, in elicottero, o in barca.
In questi mesi la più grande isola del mondo, che fa parte del Regno di Danimarca con larghe autonomie, è tornata nelle mire espansionistiche del presidente Donald Trump, che nel discorso al Congresso di martedì scorso ha ripetuto che gli Stati Uniti ne otterranno il controllo “in un modo o nell’altro” e che “i cittadini groenlandesi sono sempre i benvenuti nel diventare cittadini americani”. Anche per questa ragione, le elezioni che si sono tenute martedì sono state probabilmente le elezioni più importanti della storia dell’isola.
Tutta questa attenzione è nuova per la capitale della Groenlandia, anche se la campagna elettorale è cominciata cinque settimane fa e si è concentrata nella capitale solo per il finale. I candidati, infatti, hanno dapprima visitato il resto della Groenlandia, per poi concludere le campagne elettorali a Nuuk, dove, sebbene i voti ottenuti nella capitale orientino la vittoria di un partito piuttosto che un altro, tuttavia, è necessario ottenere un buon risultato anche nei seggi di paesi limitrofi, infatti i 31 seggi del Parlamento groenlandese, l’Inatsisartut, sono distribuiti su base proporzionale.
Con un’affluenza stimata di 20-25mila persone su 40mila elettori, uno spostamento di poche migliaia di voti può fare la differenza, specie in un contesto dove i media tradizionali sono più lenti dei social. Spesso le notizie circolano prima lì, rispetto che sui media danesi e locali che tendono ad arrivare in ritardo rispetto la rete. In Groenlandia c’è di fatto un solo giornale, Sermitsiaq, e recentemente è stata aperta la redazione dell’emittente TV KNR, dove, tuttavia, c’è stato uno sciopero contro il licenziamento di alcuni giornalisti che ha rallentato ulteriormente l’attività giornalistica in un momento di così grossa sollecitazione.
“È facile parlare a un gruppo specifico di persone, perché se fai un post efficace in pratica raggiunge l’intera popolazione”, racconta Mads Malik, giornalista per la radio-tv pubblica groenlandese KNR. Quest’immediatezza virtuale, che annulla le distanze del paese, porta con sé potenziali problemi, infatti, è di fine febbraio un report dei servizi segreti danesi, dove è stato evidenziato che la disinformazione online sta aumentando e che i social network come Facebook e X possono rappresentare un importante strumento di alterazione del corretto funzionamento del processo elettorale, utilizzando, a fini strumentali, temi molto sensibili come ad esempio quello dell’indipendenza dalla Danimarca.
D’altronde la conformazione geografica, le difficoltà negli spostamenti e le condizioni meteorologiche estreme, hanno reso internet uno strumento fondamentale di questa ultima campagna elettorale. Social Network come Facebook, X, Instagram e Tik Tok in Groenlandia hanno visto un aumento esponenziale nell’utilizzo per fini informativi nonché per fini elettorali poiché per i leader dei partiti groenlandesi l’utilizzo della rete ha azzerato le difficoltà logistiche nell’andare in un villaggio “fisicamente” per la campagna elettorale.
L’indipendenza dalla Danimarca il tema di queste elezioni.
L’indipendenza ha rappresentato uno dei temi principali delle campagne elettorali della Groenlandia fin dalla prima tornata elettorale nel 1979, quando il paese ottenne dalla Danimarca proprie istituzioni di governo, fino ad arrivare alle elezioni del 2009, quando furono accordate ulteriori autonomie e venne definita la modalità tramite la quale esercitare il diritto di indipendenza dalla Danimarca, con un negoziato che avrebbe condotto ad un accordo che poi sarebbe stato sottoposto a referendum. La questione sull’indipendenza groenlandese, pertanto, è stato un tema in tutti questi anni di campagne elettorali ma è solamente con queste ultime elezioni politiche, e con i proclami di Donald Trump sull’isola, che la questione è diventata fondamentale. Il primo ministro groenlandese, Múte Bourup Egede, in uno dei suoi ultimi interventi, ha detto che avrebbe accelerato i tempi dell’indipendenza dell’isola, per poi, non appena le “pressioni” statunitensi cominciarono a farsi sentire, ritrattare e rallentare sul procedimento di indipendenza.
A pochi giorni dalle elezioni che hanno coinvolto la Groenlandia tutti i principali partiti che hanno concorso in quest’ ultima tornata elettorale sono stati favorevoli all’indipendenza, persino l’ultimo partito unionista di centrodestra, Atassut, ha proposto nel suo programma politico la richiesta di maggiori autonomie. Il governo uscente espresso da Inuit Ataqatigiit e da Siumut, ovvero dal partito socialdemocratico e dal partito ambientalista di sinistra, che vinsero le elezioni del 2021, si sono interrogati sulla possibilità di aprire nuove miniere per sfruttare le risorse minerarie dell’isola, ingenti ma difficili da estrarre, come modo per sostituire i circa 580 milioni di euro di sussidi versati ogni anno dalla Danimarca che verrebbero persi a seguito dell’indipendenza da Copenaghen.
Per il partito socialdemocratico, Siumut, il discorso indipendenza dovrebbe avere come orizzonte temporale tutta la prossima legislatura che terminerà nel 2029, e non può prescindere dalla fine del lavoro biennale, iniziato in autunno, della commissione incaricata dal parlamento groenlandese di definire le condizioni da sottoporre a Copenaghen per il negoziato sull’accordo di indipendenza.
Gli alleati di governo, invece, il partito ambientalista Inuit Ataqatigiit, sono arrivati all’appuntamento elettorale di martedì scissi tra la corrente moderata del partito, d’accordo con l’alleato socialdemocratico su una richiesta di indipendenza “di medio-lungo” periodo, e la corrente più radicale, che invece avrebbe voluto un’indipendenza immediata al pari del partito nazionalista Naleraq, in cui sono confluiti proprio due due degli esponenti più importanti del partito Siumut, ovvero il deputato Kuno Fencker e Aki-Matilda Høegh-Dam, di cui si è parlato anche all’estero perché si è battuta per poter usare la lingua groenlandese al parlamento danese.
Sulla falsariga della corrente più radicale del partito ambientalista Inuit Ataqatigiit, in netto calo con il 14% dei consensi ottenuti, anche il partito nazionalista Naleraq, che è risultato essere invece in ascesa attestandosi come secondo partito ottenendo il 25% dei consensi, ha affermato la necessità di una secessione immediata ed unilaterale dalla Danimarca, in un approccio di evidente discontinuità con quello più cauto e ragionato dei socialdemocratici di Siumut, anche loro in calo al 21 % dei consensi, e del partito di centrodestra Demokraatit che invece si è affermato come primo partito con il 30% dei consensi.
Trump? No grazie siamo Groenlandesi e vogliamo essere indipendenti da tutti
Mai come in queste elezioni è dipeso il futuro dell’isola di ghiaccio, territorio autonomo della Danimarca, che il presidente statunitense Donald Trump è determinato a prendersi “in un modo o nell’altro”. Nella campagna elettorale appena conclusasi con il voto parlamentare non ci sono stati riferimenti espliciti all’eventualità di un “passaggio di proprietà” da Copenaghen a Washington, tuttavia, gli slogan politici lanciati da destra a sinistra dei partiti fautori dell’indipendentismo groenlandese hanno riaffermato convitamente, con toni univoci, un solo messaggio “Non siamo in vendita, vogliamo l’indipendenza”. O, per lo meno, più autonomia.
Per Trump, invece, la Groenlandia è un’ossessione sin dai tempi del suo primo mandato alla Casa Bianca. La posizione dell’isola a 800 chilometri dal Polo Nord è strategica sia da un punto di vista militare che commerciale, crocevia delle nuove rotte che si stanno aprendo nell’Artico, sia a est che a ovest, con lo scioglimento dei ghiacci polari causato dal riscaldamento globale. Ciò che fa particolarmente gola al tycoon repubblicano è l’abbondanza dei giacimenti sotterranei del Paese che risultano ancora poco sfruttati perché a lungo nascosti sotto coltri di ghiaccio spesse fino a 3 mila metri. L’isola altresì è ricca non solo di idrocarburi come gas, petrolio e carbone, ma anche di metalli rari come l’oro e l’argento e terre rare, con i ricercatissimi minerali come neodimio, praseodimio, disprosio, terbio, ittrio ed europio utilizzati nella fabbricazione di numerose applicazioni tecnologiche.
La capitale Nuuk è in sostanza diventata snodo strategico del Grande gioco delle potente internazionali, con i Groenlandesi che, consapevoli delle mire espansionistiche delle grandi potenze mondiali, sembrano essere ancor più convinti e fermi, con il nuovo esecutivo che nascerà, nell’ottenere l’indipendenza dalla Danimarca, vedremo se immediatamente oppure in un contesto di medio-lungo periodo, per poter decidere autonomamente della propria terra e delle proprie ricchezze tanto dalla propria madre patria quanto dagli “invasori stranieri”.