Teheran – Damasco, ancora insieme?
I grandi legami che vi erano tra la leadership della Repubblica Islamica dell’Iran e la Siria baathista di Bashar al-Assad sono, ormai, un ricordo del passato. Di quell’immenso e ambizioso progetto che era la
Mezzaluna sciita, ovvero quell’insieme di terre e nazioni destinato a collegare Teheran con la capitale
libanese, passando attraverso l’Iraq e la Siria, non rimane niente, ormai. Il mondo, il Medio Oriente in particolare, è cambiato completamente, trasformandosi in una nuova realtà fatta di nuovi attori, nuovi
vincitori e nuovi sconfitti. Mentre la Turchia ne è uscita a testa alta, grazie soprattutto all’ottenimento
di un trionfo tattico e strategico in terra di Siria per mezzo dei propri proxy, per la nazione degli Ayattolah si prospetta un presente e un futuro assai più incerto e critico.
Siria e Iran
Nel corso degli ultimi decenni, i punti di contatto e di collaborazione che hanno avvicinato la
leadership politica siriana a quella iraniana sono stati innumerevoli, soprattutto in seguito al conflitto
che ha devastato internamente la Siria a partire dal 2011, dove si è ripetutamente registrata una
consistente presenza iraniana – sotto il profilo economico e militare, prima di tutto – al fianco delle
forze governative dell’ormai ex presidente Bashar al-Assad.
Nonostante le differenti ideologie, dottrine e ambizioni sul piano internazionale, i rapporti di interesse reciproco hanno sempre prevalso, portando alla creazione di un fronte coeso che ha portato l’Iran a considerare la Siria un prezioso alleato nella propria strategia di espansione regionale. Tali rapporti cordiali e di amicizia, basati principalmente sulla rivalità nei confronti di Israele, dei movimenti armati islamisti sunniti e degli Stati Uniti, tuttavia, si sono infranti irrimediabilmente quando, nel corso dell’ultimo mese del 2024, Bashar al-Assad ha abbandonato definitivamente le redini del Paese, fuggendo in Russia insieme alla propria famiglia.
Il nuovo governo siriano
Il rapido cambio di governo, passato ora sotto il controllo dei gruppi islamisti capeggiati da Hayhat
Tahrir al-Sham (HTS), ha, ovviamente, interrotto gli scambi e le reciproche simpatie tra le due capitali,
che si trovano ora in una situazione di limitato conflitto diplomatico. Nonostante Teheran abbia ufficialmente riconosciuto e accettato il collasso del sistema politico baathista – arrivando perfino a
ribadire quanto sia fondamentale rispettare il diritto di autodeterminazione del popolo siriano – non
scorre buon sangue tra i due vecchi alleati. La nuova classe dirigente siriana, infatti, viene comunque
considerata un avversario da parte della Repubblica Islamica, che si trova particolarmente a cuore le
condizioni di vita e di sopravvivenza dei membri delle comunità sciite e alauite presenti all’interno dei
confini siriani.
Non è un caso, infatti, che una delle ragioni principali, almeno per via ufficiale, che avevano spinto ad un coinvolgimento sempre maggiore dell’Iran nel conflitto, soprattutto tramite l’impiego di milizie sciite straniere e alcuni reparti delle Guardie della Rivoluzione Islamica, fosse proprio la protezione delle minoranze e dei numerosi luoghi di culto legati all’Islam sciita, minacciati dall’avanzata dei gruppi armati salafiti e wahhabiti. La situazione interna del nuovo stato, caratterizzata ancora da una condizione di caos e instabilità diffusa, ha portato a numerosi episodi preoccupanti, spesso corrispondenti a omicidi, violenze e discriminazioni, nei confronti delle minoranze. Ancora più inquietante, poi, come denunciato da Teheran per mezzo dei propri diplomatici, è il fatto che le nuove autorità di pubblica sicurezza siano poco interessate ad evitare tali episodi o, addirittura, ne siano i principali autori. In ripetuti casi, infatti, gli ex-miliziani di HTS o dei gruppi islamisti ad esso collegati sono stati riconosciuti come i principali autori di violenze, vendette e soprusi, soprattutto a danno dei membri della comunità alauita, una minoranza dell’islam vicina allo sciismo.
Scenari futuri
Sebbene ora ci si trovi nella fase aurorale di un nuovo Medio Oriente, è possibile immaginare quali possano essere le dinamiche e le politiche future tra i due stati. Nonostante le differenze estreme e
l’avversione – anche ideologica e settaria – che separa la leadership delle due nazioni, è comunque
possibile che tra Damasco e Teheran si possa mantenere aperta una via di dialogo e di mediazione,
visti i comuni interessi strategici ed economici che ancora possono legare le due nazioni. Tra di esse, ovviamente, vi sono l’approvvigionamento di materie prime e lo scambio di risorse economiche, necessità fondamentale per un paese ancora completamente martoriato dalla lunga guerra civile degli ultimi anni. Vi è, ancora più importante poi, il tema della pace e della stabilità dell’area, tanto caro a Damasco quanto a Teheran, ormai fortemente in difficoltà a causa dei recenti avvenimenti che hanno sconvolto qualsiasi equilibrio esistente a partire dal 7 ottobre 2023, che sembra destinato a prevalere su tutto il resto.