Credito parallelo: il rischio vale l’opportunità?
Il dibattito europeo sui sistemi finanziari ruota attorno a fattori correlati: da un lato, la mancanza di sostegno finanziario, soprattutto del credito bancario alle infrastrutture e alle piccole e medie imprese; dall’altro, la tendenza crescente a finanziare l’economia reale di soggetti, diversi dalle banche, caratterizzati da un livello esiguo di regolamentazione e vigilanza.
Ciò che connota la visione collettiva dei paesi europei, in una situazione di forte criticità economica come quella che il Vecchio Continente sta attraversando, è la necessità di favorire gli investimenti, stimolando la domanda e sostenendo la crescita. Ma, se è vero (come è vero) che vi sono difficoltà evidenti nel finanziare la spesa attraverso i mercati e gli intermediari tradizionali, è necessario promuovere canali finanziari ulteriori, anche se non necessariamente alternativi.
È il caso del cosiddetto “shadow banking”, ovverosia il finanziamento dell’economia reale intermediato da soggetti che non sono banche, pur operando almeno in parte come se lo fossero. Si consideri un’impresa che riceve fondi da parte di investitori istituzionali canalizzati attraverso strumenti cartolarizzati creati, ad esempio, da un veicolo speciale. Esattamente quel tipo di finanza non bancaria invocata precedentemente, tanto foriera di rischi quanto produttrice di risorse.
O si pensi, ancora, al mercato delle cartolarizzazioni. Fonte di capitale significativa, ma che necessita di connotati di trasparenza ed efficienza, oltre che della garanzia di un ruolo accresciuto degli investitori istituzionali.
Ma è possibile contemperare rischi e opportunità? È davvero necessario contenere i primi senza mortificare le seconde?
La crisi, indebolendo le banche, ha prodotto uno spostamento d’asse del sistema finanziario dall’intermediazione creditizia ai mercati. La parziale marginalizzazione delle banche, costrette da regole sempre più stringenti e dal peggioramento ciclico a ridurre la leva finanziaria con cui operano, non solo ha determinato un aumento della ricerca diretta di risorse sui mercati da parte delle imprese, ma ha generato l’apertura di spazi sempre maggiori ad altri intermediari. È pacifico e naturale che l’evolversi di questa situazione provochi un pericolo concreto per la stabilità finanziaria: parte delle attività creditizie vengono esercitate da soggetti che operano in canali “in ombra” agli occhi del sistema di vigilanza; chi vi agisce è disposto ad assumere rischi maggiori pur di ottenere rendimenti più alti di quelli “tradizionali”, i quali possono essere concessi proprio grazie all’assenza di regole e controlli stringenti. Considerazioni che aprono la porta a dubbi legittimi di stabilità, ma che si scontrano con una vera e triste considerazione attuale: l’economia reale ha bisogno di finanza. Per tentare di riavviare sistemi economici collassati, ogni canale o soggetto finanziario che possa far giungere in maniera efficace fondi a chi può mettere a disposizione del sistema globale idee imprenditoriali non solo è ben accetto, ma è praticamente necessario.
La struttura finanziaria globale, dunque, deve evolversi verso un assetto che veda ridotta al midollo la dipendenza delle imprese dal credito bancario e incrementato (e responsabilizzato) il ruolo dei mercati come canali da cui possa giungere finanza fresca per l’intero sistema produttivo.
Un processo insidioso, certo, ma che risulta caricato eccessivamente di paure e riluttanza, in un contesto che avrebbe bisogno, al contrario, di stimoli, tanti, e di fiducia. Di ritrovata fiducia.